sabato 3 settembre 2016

La satira e Charlie Hebdo


di Horatiu Chituc

Ai tempi di Platone c’era un certo Diogene di Sinope, un cinico che era contraddistinto dai i suoi comportamenti fuori dal comune e contrari ad ogni convenzione sociale. Infatti questo “filosofo cane” viveva in una botte, urinava sulle persone, defecava nel teatro, si masturbava in pubblico e non aveva paura di mostrare disdegno nei confronti del potere (politico) e dei potenti. Emblematico è l’episodio in cui gli si presenta davanti Alessandro Magno chiedendogli se avesse bisogno di qualcosa e Diogene risponde: "Scostati un poco dal sole".

Tale atteggiamento, di sovversione dei valori e delle gerarchie del potere ricompare da sempre nella satira la quale si può manifestare con un umorismo più o meno dissacrante. E quei gradi, quel più e quel meno, possono essere decisamente significativi per determinare una reazione piacevole o spiacevole nelle persone, anche e soprattutto in base alle circostanze in cui ci si trova. Infatti, se io inizio a fare satira pesante e insultare un morto mentre si celebra il suo funerale il mio comportamento sarebbe fortemente condannato da tutti i presenti, mentre uno spezzone di Crozza che si prende gioco di Renzi o del Papa non crea scandalo quasi per nessuno, anzi, è accettato dalla maggior parte perché permette un momento di sfogo collettivo, in cui noi, gente comune, impotenti davanti ai grandi poteri, li possiamo vedere ridotti a qualcosa di più basso di cui si può ridere per quanto risultano ridicoli in quella forma.

Ora, per parlare dell’episodio dell’ultima ora, ciò che hanno concepito “le eccellenti menti creative” di Charlie Hebdo oggi, ma anche in passato (infatti per loro questa è la prassi), assomiglia più alla masturbazione in pubblico di Diogene e alla sua defecazione in teatro. Infatti, di questo si tratta: non di fare umorismo vero e proprio, ma di defecare sotto i riflettori di tutto il mondo e di credere che questo in verità faccia ridere (nonostante sia pure vero che spesso producono il loro materiale cercando di colpire obiettivi ben precisi come i potenti della politica e della religione, sempre con un modo di fare che segue gli aspetti più estremi dei valori occidentali odierni).



Eppure, dopo la pubblicazione di oggi, c’è qualcuno che, volendo difendere la rivista parigina, vede nella battuta “Circa 300 morti in un terremoto in Italia – si legge -. Ancora non si sa se il sisma abbia gridato ‘Allah akbar’ prima di tremare” comparsa sulla stessa pagina della vignetta, un modo per dire “l’Europa ha tremato per gli attacchi terroristici fino adesso, ma si è scordata di come le forze politiche interne non si siano curate della sicurezza dei cittadini” e tenta di giustificare la vignetta così. Ma i problemi con questo tipo di giustificazione sono i seguenti: 1) Il contenuto della vignetta è completamente diverso dal contenuto della battuta, perciò è legittimo criticare il primo senza tener conto del secondo. 2) Non è detto che l’interpretazione della battuta sia quella giusta anche perché non c’è un esplicito riferimento o indizio che ci faccia pensare che la volontà dello scrittore fosse proprio quella di denunciare le forze politiche interne. 3) Anche se l’interpretazione fosse quella giusta e la volontà dello scrittore fosse proprio quella di dire ciò che alcuni hanno interpretato, il riferimento implicito della battuta non è per niente chiaro. 4) Non è detto che il disastro del terremoto sia il risultato di decisioni politiche sbagliate o “volutamente sbagliate”, anche perché le indagini sono ancora in corso e le colpe ancora da stabilire.

Il punto “4)” ci riporta al secondo momento della vicenda, quello in cui le menti di Charlie Hebdo hanno preso coscienza della reazione indignata dell’opinione pubblica italiana e hanno tentato di salvarsi in calcio d’angolo. Infatti, sempre oggi, a poche ore dalla prima vignetta, ne hanno prodotta un’altra in cui compare un terremotato sotto le macerie che dice “Italiani, non è Charlie Hebdo che costruisce le vostre case, è la mafia!”. Ritorna dunque il punto “4)”, con una precisazione aggiuntiva, ovvero, nonostante ci siano state delle accuse di legami tra la mafia e il consorzioche si è occupato della costruzione del sistema antisismico per una scuola di Amatrice che poi è crollata, il ché significherebbe che la mafia ha veramente una colpa in ciò, il TAR ha respinto questi collegamenti tempo fa e, comunque, come detto prima, le colpe sono ancora da stabilire, perciò puntare già il dito contro qualcuno e in special modo contro la mafia, risulta in questo caso solo un luogo comune senza alcuna base nella realtà (almeno per ora).



Diciamo tutto ciò considerando però che la mafia c’entrava veramente nella tragedia del terremoto de L’Aquila e che Charlie Hebdo non è l’istituzione che si occupa delle indagini, ma una rivista satirica. Però l’umorismo, per essere tale deve partire da qualcosa che si può riscontrare nella realtà dei fatti, altrimenti risulta solo un esercizio di ignoranza e stupidità e l’attenzione viene rivolta più sulle sue sbadate imprecisioni che sull’essenza della battuta.

Volendo dare un'occhiata pure a quelle che sono state le reazioni dell'opinione pubblica, è ovvio che, per via degli attacchi terroristici avvenuti nella redazione della rivista parigina, il discorso sui social e in generale si è incentrato soprattutto sulla libertà di parola e chi ha scelto di difendere Charlie lo ha fatto secondo questo principio. 

Qui c’è molta confusione e bisogna fare chiarezza. Infatti, la libertà di parola è una cosa, il contenuto di un discorso, di un’immagine, di un simbolo è un altro. La libertà di parola è un principio che in Occidente è diventato (giustamente) sacrosanto, ma, d’altro canto, giustificare i contenuti di qualsiasi discorso/immagine/simbolo mettendoci in mezzo questo principio non ha senso. 
Un’analogia adeguata sarebbe quella di un re che legittima il proprio potere attraverso il principio divino. La stessa cosa sta avvenendo con la libertà di parola (il contenuto si legittima con il principio) e sembra quasi che una reazione di disdegno per il contenuto di un discorso e di chi lo fa sia in verità un attacco rivolto al principio stesso (almeno nella mente di taluni). Nulla di più vero, anche se c’è anche chi lo attacca veramente. Ma il diritto di reagire liberamente a qualsiasi cosa si ha davanti, purché sia una reazione nei limiti della legalità, è un diritto sacrosanto quanto quello della libertà di parola. E poi ricordiamoci anche che, come dice un proverbio italiano,  “Il pensare è libero, ma il parlare vuol prudenza”.

Pubblicato originariamente su Parola all'agorà

mercoledì 31 agosto 2016

Cambiare il passato: utopia possibile


di Vincenzo Cerulli

Pubblicato originariamente su barbadillo.it

Cambiare il passato: utopia possibile

Come probabilmente già sapete Marck Zuckerberg si trovava due giorni fa a Roma, riassumiamo qui la sua giornata in tre momenti: visita dal Papa, visita dal primo ministro Renzi e, nel pomeriggio, lezione\conferenza all’università LUISS di Roma.

Analizziamo brevemente questo suo post che annuncia l’arrivo in Italia: 

Ha dato un’interpretazione palesemente erronea della celebre Pax Romana: quest’ultima infatti non è “200 anni di pace mondiale” come farebbe comodo pensare a chi vede nella Storia un processo lineare che prima o poi giungerà alla pacificazione mondiale di ogni conflitto, kantianamente potremmo dire una “pace perpetua”.
La Pax Romana è piuttosto lo spostarsi del conflitto dall’interno dell’impero (guerre intestine e ambizioni fraticide) all’esterno dei propri confini (ripetute guerre contro i Parti e le tribù germaniche).
Un errore del genere non va assolutamente sottovalutato per due motivi:
1 chi l’ha commesso è probabilmente la persona mediaticamente più influente al mondo, per tutte le persone che hanno “accettato” quel post la Pax Romana ha cambiato di significato, in pratica più di 155000 persone hanno accettato una “nuova versione” del passato
2 nel merito dell’errore ci sfiora l’idea (sempre meno assurda) che al pensiero “globalista\mondializzatore” faccia comodo come versione del passato un’oasi in cui c’era un impero mondiale con le varie sovranità nazionali inesistenti, dunque impossibilitate a portare guerra: un po’ quello che sarebbe dovuto accadere (e un po’ è accaduto) con “il secolo americano”.
Per coniugare i due punti basta riprendere una delle dichiarazioni odierne dello stesso Zuckerberg agli studenti della LUISS: il momento in cui parla di “apprendimento personalizzato”. Riportiamo quello che ha detto: ”Vogliamo creare software per l’apprendimento personalizzato ed inserirli nelle scuole, inizieremo con le scuole americane, poi ci espanderemo, ci stiamo muovendo anche con la filantropia grazie alla “Zuckerberg Initiative” che cerca di migliorare il livello di formazione in tutto il mondo finanziando l’apprendimento personalizzato e la sua diffusione nel mondo.”
I privati che invadono le scuole pubbliche sembrano un dolce ricordo a confronto vero? Veramente dobbiamo pensare che fra qualche anno i programmi scolastici verranno scritti dai finanziatori del celebre social network? Sarebbe bene che il CEO di Facebook facesse chiarezza su queste sue dichiarazioni.
La potenza di questo social-network è talmente grande che è, per lo più, ancora inesplorata ed inesplosa. Siamo forse arrivati al punto in cui dei grandi consorzi di potere, nel giro di 3-4 generazioni di studenti da loro formati con i suddetti programmi, saranno in grado di modificare il passato? Sempre più sembra di sì, data la crescita inarrestabile di Facebook e della sua pervasività.
Una bugia ripetuta per tanti anni diventa verità, soprattutto se quella bugia influenza i circuiti scolastico/universitari. 






sabato 6 agosto 2016

Quando la nostalgia diventa idiozia (Brevi appunti sul fenomeno del "machenesanno")


di Vincenzo Cerulli

PREMESSA seria per righe semiserie: ben consci del fatto che può sembrare (agli idioti) una perdita di tempo affrontare questi temi, ci teniamo a ricordarvi che quando un argomento, per quanto possa sembrare stupido e puro intrattenimento, raggiunge un numero critico di persone (400000 per la pagina cui si fa riferimento e 4 milioni di visualizzazioni per la canzone qui sotto) allora non è più “stupido e puro intrattenimento”. Questo vale ancor di più oggi in cui il passaggio da “intrattenitore”(cantante, opinion-maker su facebook o youtube etc etc) ad intellettuale da salotto è sempre più breve: basti pensare a Fedez e J-ax col M5S.

Un fantasma si aggira per i social network, il fantasma del “machenesanno”. Sintomo principale del suo passaggio è il disprezzo aprioristico per il presente in funzione di un’esaltazione cieca, sciamanica ed idiota del passato. Sia chiaro però, questi zombi stregati dal suddetto spettro non rimpiangono mica un passato preciso, dunque molto ipoteticamente glorioso; rimpiangono vari “pezzi” di tutto quello che “c’è stato prima”. Di conseguenza è negato ogni possibile confronto fra un presente palesemente circoscritto a quel che accade ora ed un passato i cui confini vengono allungati ed accorciati tanto quanto fa comodo, come accade nel mito del letto di Procuste.
Qui un paio di esempi concreti:
la pagina facebook “Serie A - Operazione Nostalgia” (https://www.facebook.com/SerieAOperazioneNostalgia/?fref=ts) e la nuova hit (non a caso) dell’estate: “Che ne sanno i 2000” di Gabry Ponte ( https://www.youtube.com/watch?v=noY6ggSNTF0)
Per quanto riguarda la pagina sopra menzionata ci limitiamo a dire che quando uno slogan da utilizzare ogni tanto (“machenesanno” appunto) diventa la colonna vertebrale di tutta la struttura è inevitabile che poi si scada nel ridicolo. Così vengono fatti di continuo confronti fra campioni affermati del passato e bravi giocatori del presente. Ecco allora che vengono presi tutti i più forti calciatori dagli anni ’60 agli anni ’90 e, confrontati a quelli degli ultimi 10 anni, si dice che prima c’erano più campioni e che quelli di oggi non reggono il confronto ne’ per qualità ne’ per quantità (e grazie al ca#*o aggiungiamo noi).
Una pagina calcistica che ci teniamo a consigliare e che si distingue da quest’ultima per profondità di contenuti e per la parsimonia con cui viene utilizzato il tema della nostalgia è invece “La leva calcistica della classe ‘68”. In questa non viene screditato ogni calciatore che gioca oggi per il semplice fatto che non ha giocato 20-30 anni fa: si cerca, per quel che si può, di trovare una giusta misura fra la nostalgia per il “vecchio pallone” e la critica alle brutture del calcio moderno.
Della “canzone” cui sopra si accenna diciamo innanzitutto che si limita a cavalcare i tempi (come tutte le hit d’altronde), sono 4 minuti circa di listone delle “belle cose del buon tempo antico” in cui l’autore denigra “””ironicamente””” i nati dal 2000 in poi per inneggiare ad un presunto migliore passato che ha veramente le sembianze di un minestrone: da Luigi Tenco a Fiorello, dal Milan di Rijkaard, Gullit e Van Basten (oppure era quello di Seedorf e Stam? Nella minestra tutto si confonde) alle tartarughe ninja, dal Megadrive a Jeeg-robot etc etc, così per 4 minuti.

Cari lettori non spendiamo altre parole a riguardo perché per quanto serio sia questo fenomeno è comunque abbastanza semplice da decifrare ed affrontare, vi salutiamo con la speranza che la nostalgia torni ad occupare il posto che le spetta; che non è certo quello di merce di scambio con cui imporre una gerarchia su chi è nato dopo un certo periodo. Anche perché se così fosse ci dovremmo chiedere: “chi traccia il confine tra ciò che è nostalgia-passato e ciò che è presente?”. Servirebbe un osservatore sovra-storico, al di là della quotidianità in cui ci troviamo noi di continuo in quanto esseri storici.

sabato 23 luglio 2016

Il futuro dell'Europa secondo la visione di Cioran


di Horatiu Chituc

Limitandomi all’immediato, e in special modo all’Europa, prevedo, con una chiarezza perfetta, che la sua unità non si realizzerà, come credono alcuni, con accordi e trattative, ma attraverso la violenza, secondo le leggi che governano la formazione degli imperi”. Queste le parole di Emil Cioran che si riscoprono nel capitolo “Alla scuola dei tiranni” del saggio “Storia e Utopia” pubblicato nel 1960. Queste le parole che, alla luce degli avvenimenti degli ultimi giorni, sembrano prevedere la direzione in cui un’Europa sempre più sanguinante potrebbe dirigersi.


Nessuno può negare che il versamento di sangue c’è stato e, con molta probabilità, continuerà ad esserci. Si tratta di una crisi a cui la società “democratica e libera” degli ultimi decenni non è abituata, non come in altre parti del mondo dove si convive quotidianamente con il pensiero della morte e della lotta per la sopravvivenza. Noi invece ci eravamo scordati della guerra, della morte violenta; tutte cose tenute lontane dal nostro guscio protettivo “fortificato” con la libertà e la tolleranza.

Ebbene, a detta di Cioran, sono proprio questi (libertà e tolleranza) gli aspetti che segnano il declino di una civiltà che è arrivata al culmine della sua ascesa e che, da qui, non possono che preannunciare il ritorno a quello che c’era prima. In modo simile avvenne anche la fine della repubblica romana, che, dopo i terribili fatti delle guerre civili, si prostrò ai piedi dei dittatori e degli imperatori dando vita all’impero.

Sebbene, però, l'attuale discorso politico e sociale europeo sia totalmente diverso da quello che era due millenni fa, ci troviamo in una situazione affine per quanto riguarda le crisi intestine che preannunciano un cambiamento radicale nelle coscienze degli Europei, molti di cui sono pronti a reagire, mentre altri si tengono fondamentalmente saldi ai principi occidentali odierni e scelgono come strategia di “combattimento” il “continuare a vivere liberamente”, spacciandolo per una soluzione.

Ma volendo parlare di chi è pronto a cambiare rotta, si deve notare che tra non molto ci saranno le elezioni nei maggiori stati europei (Francia, Germania, Austria) ed è qui che il vero cambiamento può aver luogo, perché il popolo, soprattutto alla luce dei nuovi avvenimenti di stampo terroristico, è pronto a voltare pagina e svoltare a destra; non alla solita destra moderata, ma a quella anti-europeista, vista come nuova speranza per una reazione forte contro il terrorismo.

Collegando una possibile vittoria di questi partiti nei loro rispettivi paesi (che sono il cuore dell’Unione Europea) alla citazione summenzionata di Cioran, dobbiamo chiederci: saranno forse loro i nuovi tiranni di cui dobbiamo avere paura? La risposta è semplicemente no. Si tratta di separatisti, non di uomini politici pronti a unire l’Europa con la spada. E allora chi saranno i veri tiranni? E’ vero che sul piano economico e legislativo per certi aspetti stiamo già in una dittatura mascherata con l’UE che si impone sui vari stati e popoli europei, ma non si tratta ancora di una dittatura con la spada.


E’ proprio dopo le possibili vittorie della destra anti-europeista che vedremo se la visione cioraniana di un’unione tirannica dell’Europa si avvererà come reazione agli impulsi separatisti e indipendentisti. E’ lì che vedremo se questa Unione Europea che vive come una dittatura mascherata avrà il coraggio di rivelare se stessa per quel che è anche in modi violenti e senza scrupoli.   

(Pubblicato originariamente su http://parolaallagora.blogspot.it/)

lunedì 4 luglio 2016

Brogli in Austria: si torna al voto


La Corte Costituzionale austriaca ha riscontrato irregolarità nelle recenti elezioni presidenziali austriache: sono state certificate irregolarità in 94 dei 117 distretti elettorali per un totale di 78 mila schede scrutinate non correttamente. Più del doppio dei voti che decisero l’esito finale. A settembre il popolo austriaco sarà chiamato nuovamente a pronunciarsi.

di Simone Mela

Si andrà di nuovo al voto. I cittadini sono chiamati per l’ennesima volta alle urne. Ma se qualcuno pensa che si tratti del nuovo referendum sulla Brexit, come vorrebbe quella ridicola petizione lanciata in rete, si sbaglia. Proprio così, ad andare a votare saranno invece i cittadini austriaci, i quali dovranno scegliere, questa volta regolarmente, il loro Presidente.
Lo scorso 22 maggio infatti si era concluso veramente al fotofinish il ballottaggio per la presidenza della Repubblica austriaca tra il candidato del Partito della Libertà Austriaco (FPÖ) Norbert Hofer e l’indipendente Alexander Van der Bellen, appoggiato dai Verdi. Grazie al voto per corrispondenza, a spuntarla era stato quest’ultimo con uno scarto di appena 30 mila preferenze (50,3% – 49,7%). Ma le irregolarità riscontrate durante la fase di scrutinio, come l’affluenza al 146,9% al collegio di Waidhofen an der Ybbs (in pratica più votanti degli aventi diritto) o lo scrutinio dei voti per corrispondenza iniziato anzitempo, spinsero il partito nazionalista a chiedere ricorso. Ebbene questo ricorso è stato vagliato dalla Corte costituzionale austriaca.
“Le elezioni sono il fondamento della nostra democrazia e il nostro compito è di garantirne la regolarità. La nostra sentenza deve rafforzare il nostro Stato di diritto e la nostra democrazia”, ha detto a Vienna il presidente della Corte costituzionale Gehrart Holzinger prima di pronunciare la sentenza.
In due settimane la Consulta ha ascoltato 90 testimoni e le irregolarità sono state certificate in 94 dei 117 distretti elettorali per un totale di 78 mila schede scrutinate in maniera irregolare: più del doppio dei voti che decisero l’esito finale. Mai prima d’ora era stato annullato un ballottaggio in Austria e mentre Bruxelles rimane a guardare, avendo dichiarato di non interferire con le decisioni prese da uno Stato membro, il pensiero non può che andare a quanto successo in Gran Bretagna con il referendum sulla Brexit. È stata molto chiara infatti la posizione presa dal partito di Hofer di voler sentire l’opinione del popolo sul tema Ue.
Se l’Ue seguita a svilupparsi così distorta verrà il momento di dare la parola ai cittadini austriaci” – Queste sono state le sue parole pochi giorni fa, dopo la consultazione britannica, mentre oggi, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, sempre per quanto riguarda un possibile referendum, risponde che “qualora la Turchia dovesse entrare nell’Unione Europea, ciò non sarebbe gestibile da parte dell’Europa, e ci sarebbe una ragione fondata per domandare alla popolazione austriaca la sua volontà sulla permanenza o meno in un simile contesto. Il caso della Gran Bretagna ha dimostrato che l’Unione Europea, questa Unione Europea, è palesemente lontana dalle persone […] Un cambiamento dei trattati europei in direzione di un ulteriore riduzione delle competenze degli Stati membri, in Austria, porterebbe automaticamente a un referendum”.
Insieme alla Brexit, dunque, l’elezione (prevista per il prossimo settembre) di un presidente nazionalista di uno Stato che fa parte dell’Unione europea, evento mai avvenuto dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, potrebbe rivelarsi una micidiale doppietta per l’Ue. Non vogliamo nemmeno immaginare cosa stia balenando nelle teste dei vari Severgnini, Saviano e Monti per una decisione così garante della democrazia. Loro, per i quali la democrazia va bene solo se vince la fazione che ritengono più giusta. Loro, che decisioni così importanti non devono essere sottoposte al popolo greve e ignorante. Beh, il popolaccio riandrà a votare e forse attirerà anche coloro i quali hanno preferito Van der Bellen ma, schifati dai brogli messi in evidenza, potrebbero votare a favore di Hofer. Appuntamento a settembre.
(Pubblicato originariamente su l'Opinione Pubblica)

sabato 2 luglio 2016

Due facce della stessa medaglia


di Vincenzo Cerulli

Che differenza c'è fra un giovane italiano in fuga verso Londra o la California e un giovane pakistano in fuga verso i nostri lidi? Nessuna nella sostanza. Il primo verrà sfruttato come lavapiatti o commesso tuttofare in un grande magazzino, il secondo come venditore ambulante, nelle spiagge d’estate e nei supermercati d’inverno. C'è solo una piccola differenza formale per quanto riguarda la comodità (il "comfort" cui gli occidentali anelano) dei due tipi di espatrio. Le motivazioni sono le stesse ed anche le ambizioni, causa e fine coincidono da Reggio Calabria, Roma, Milano fino a Islamabad, Lahore e Karachi: anche le ambizioni si appiattiscono su un unico modello planetario, la “way of life” hollywoodiana ha la stessa forza persuasiva su tutti i meridiani. Entrambi hanno deciso di fuggire invece di lottare per cambiare il proprio paese, entrambi sono il frutto più dolce della globalizzazione: lo sradicamento apolide senza scopo.

Il capitalismo li costringe ad abbandonare il proprio paese, i propri cari; eppur loro fuggono alla ricerca del capitalismo, assistiamo ad una sorta di sindrome di Stoccolma per la quale chi è costretto a sopravvivere di stenti invece di cambiare la propria esistenza vuole radicalmente sostituirsi a chi muove gli enormi capitali che stanno massacrando le aziende del proprio paese, invece di combattere chi mette in ginocchio l’economia della propria nazione si limitano ad invidiare i loro stili di vita, si adora malignamente il padrone.

La vittima si lega al carnefice attraverso l’imposizione massmediatica del desiderio irresistibile per quegli oggetti che sono proprio la causa del proprio male, il sigillo della propria sconfitta (vedi “Un comunista a Parigi nel ‘68” Lorenzo Vitelli Circolo Proudhon Edizioni). Così attraverso l’imposizione (che non è assolutamente violenta ma anzi volontaria e “soft”) di quegli oggetti del desiderio (grandi automobili, hi-tech di svago, fast-food etc,etc) le vittime auto-alimentano il proprio mulino del supplizio, un cane che si auto-compiace del proprio mordersi la coda.

Per questo prima di una rivoluzione socio-economico-politica abbiamo innanzitutto bisogno di una Rivoluzione cultural-antropologica: dobbiamo cambiare i nostri oggetti del desiderio. Per concludere, tornando alle nostre due “vittime” del turbocapitalismo finanziario dobbiamo di nuovo sottolineare che desideri identici fanno persone identiche, un unico mercato planetario in cui tutti vogliono le stesse cose è più semplice da controllare piuttosto che 10,100,1000 mercati.

Vi lasciamo con una frase di un intellettuale che forse più di tutti aveva anticipato, compreso e temuto questa tremenda “mutazione antropologica”: Pier Paolo Pasolini. Il poeta ci ha infatti lasciato questo monito: “Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto, nessuno li aveva colonizzati. Io ho paura di questi negri in rivolta, uguali al padrone, altrettanti predoni, che vogliono tutto a qualunque costo.”

Se dobbiamo veramente abbattere il Padrone dobbiamo iniziare a riconoscere la nostra condizione di servi, servi colti, con dei diritti, anche belli e in salute ma pur sempre servi: in quanto vicini agli ultimi della società, in quanto in lotta con trattati non voluti e organizzazioni internazionali, servi in quanto più vicini a chi soffre, servi in quanto affamati. 


(Pubblicato originariamente su Economia Democratica) 

mercoledì 29 giugno 2016

Cortocircuito occidentale vol.3


di Vincenzo Cerulli

"Il sindacalista coglione fa più male all'operaio che al padrone"

Ma Landini quando capirà di stare dal lato sbagliato della storia?
Dice che l'UE "va cambiata", non dobbiamo uscirne, bisogna cambiarla dall'interno. Wow! Che lungimiranza, che presa di posizione coraggiosa! Nitidamente a favore degli operai, difatti è la stessa posizione difesa da famosi Kompagni moderni: Merkel, Hollande, Renzi, Padoan, Juncker, Di Maio, Monti etc etc
Quindi lui sarebbe quello buono e giusto rispetto alla Camusso...
Noi non vediamo differenza alcuna fra i due; piuttosto ridateci Antonio Labriola, Nicola Bombacci e Filippo Corridoni!!!