di Gianluca Boanelli
Un insieme di nazioni differenti per cultura, condizione
economica e aspettative
decidono di affrontare un percorso ambizioso comune per
giungere a una
progressiva “unione”, prima commerciale, poi nel mercato del
lavoro, dunque il
raggiungimento della libera circolazione dei capitali.
Una storia già sentita? In effetti il quadro proposto sembra
chiaramente ispirato alla
nascita della Comunità Economica Europea (accordi di Roma
del 1957), che oggi, o
meglio, in seguito al trattato di Maastricht, è stata
assunta come “primo pilastro”
dell’azione dell’Unione Europea.
Tuttavia la comunità in questione dista quasi sessant’anni
dal percorso europeo
verso il libero scambio e riguarda un contesto geografico e
culturale che mai
potrebbe essere più lontano dal Vecchio continente
Infatti non ci troviamo nella vecchia Europa ma nella assai
più giovane Asia, in
particolare il Sud- Est asiatico, dove proprio nel 2015
nasce l’ASEAN ECONOMIC
COMUNITY, promossa dai 10 leader dell’ASEAN (Associazione
dei paesi del Sud-Est
asiatico). In maniera insospettabile, proprio nel decennio
di maggiore contestazione
del sistema Europa, il cui è apice è di certo il paventarsi
della cosiddetta BREXIT,
qualcuno sembra ispirarsi al modello europeo proprio con la
volontà di giovare di
quegli stessi benefici che da sempre sono state le basi
istituzionali fondanti della UE.
In sostanza l’AEC, dopo il passaggio da forum economico a
comunità economica avrà
l’obiettivo di integrare gli interessi economici di 10 paesi
per un totale di 600 milioni
di persone promuovendo inizialmente proprio il libero
scambio all’interno del
contesto economico condiviso.
Le analogie con la storia del percorso europeo sono al dir
poco stupefacenti a partire
proprio dalle caratteristiche dei paesi fondatori. Infatti
la situazione di partenza è
piuttosto disomogenea dal punto di vista sia politico che
economico allo stesso
modo della condizione europea nel dopoguerra. Infatti da una
parte vanno
considerati i paesi guidati dal partito comunista nazionale
(Vietnam e Laos), giunte
militari(Thailandia), novelle democrazie (Myamar, Cambogia)
si dovranno
confrontare con relate piuttosto diverse quali le nuove
“tigri asiatiche” dell’high tech
quali Singapore e Malaysia nonché stati estremamente
popolosi quali Filippine e
Indonesia caratterizzati da differenze politiche e
religiose.
Di fronte a un quadro così complesso non è tuttavia
possibile mettere in secondo
piano il ruolo giocato dai due osservatori “silenziosi” (ma
non troppo), ovvero Cina e
Giappone.
La politica giapponese sembra infatti quella più aperta al
sostegno dello sviluppo del
Sud est asiatico, visto il ruolo che potrebbe giocare in un
futuro prossimo nella
domanda infrastrutturale. Il discorso vale in particolare
per le esigenze dei cosiddetti
paesi del “Mekong” i quali necessitano di costruzioni ferroviarie,
porti e via dicendo.
In questi Segmenti il paese del sol levante può vantare
colossi di esperienza
mondiale (Hitachi, Mitshubishi) i quali hanno sostegno anche
nel più lontano
conteso europeo. D’altro canto molti dei paesi considerati
sono tutt'ora
prevalentemente dipendenti dalla grande domanda cinese che,
nonostante abbia
subito una diminuzione non indifferente a partire
dall’estate 2015, sembra essere in
prospettiva un elemento idiosincraticamente destinato a
caratterizzare ancora per
molto a queste nazioni fino ad ora “satellite”.
In sintesi le
prospettive di sviluppo della comunità si muovono su due linee
parallele, da una parte una progressiva stabilizzazione
geopolitica inevitabilmente
necessaria per la continuità nel tempo, dall’altro lato
un’attenta gestione delle
relazione con Cina e Giappone. Tali rapporti dovranno
muoversi di certo sia verso
una più stretta collaborazione ove non vi sia l’expertise
necessario per uno sviluppo
economico autonomo, sia verso una certa indipendenza in quei
settori nei quali il
vantaggio competitivo degli stessi paesi è frenato
esclusivamente da fattori
istituzionali e geopolitici.
Dunque in forza di un contesto globale sempre più
imprevedibile e dinamico i nostri
cugini asiatici, in un futuro ancora piuttosto lontano,
potrebbero essere in grado di
imparare dal modello di integrazione economica europea,
migliorarlo e superarlo, in
forza, probabilmente, del più classico e oserei antico vantaggio
del follower, ovvero
che si impara dagli altri
sfruttandone i punti di forza e evitando gli errori compiuti.
Fonte: www.ilSole24ore.com
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