mercoledì 24 febbraio 2016

Il conflitto inevitabile

di Simone Mela

“Costituzione italiana contro trattati europei. Il conflitto inevitabile” è l’ultimo libro di Vladimiro Giacché. In questo saggio si cerca e si ottiene di far risaltare le divergenze che ci sono tra la nostra Costituzione ed i trattati europei. Per spiegare i due tipi di società configgenti l’autore si rifà all’economista statunitense Hyman Minsky, il qualeafferma che la nostra Costituzione è il risultato di un processo che, da un capitalismo nel quale lo Stato aveva un ruolo marginale dove vigeva la filosofia del “laissez-faire”, ha portato alla luce un capitalismo interventista nel quale, questa volta, lo Stato ha un ruolo importante in quanto assolve al compito di regolatore dell’economia. Di questo avviso erano i nostri padri costituenti che assieme a tale modello di capitalismo proposero il concetto di “democrazia progressiva” che ha il dovere di promuovere l’eguaglianza e la libertà dei cittadini. A questo proposito importantissimo è l’articolo 4: <<la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto>>. Inoltre la Repubblica nasce con l’impegno di garantire il <<pieno impiego>>.
Completamente diversi sono i valori, se così si può chiamarli, su cui si basano i trattati europei che propugnano un tipo di società totalmente estranea a quella voluta dalla Costituzione. Quali sono? “Forte concorrenza”, “stabilità dei prezzi” e “indipendenza della Banca centrale” dai governi. Giacché fra i vari esempi porta quello riguardante l’articolo 119 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) il cui primo comma recita che <<[…]l’azione degli Stati membri e dell’Unione comprende, alle condizioni previste dai trattati, l’adozione di una politica economica fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri[…]>>, ma che tale azione, secondo comma, <<comprende una moneta unica, l’euro, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica di cambio uniche, che abbiano l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nell’Unione conformemente al principio di un’economia di mercato aperta in libera concorrenza>>. Gli stessi obiettivi si possono trovare all’articolo 127.
Insomma la Banca centrale europea ha il dannato obiettivo della stabilità dei prezzi o lotta all’inflazione. Questo comporta che la lotta alla disoccupazione, prerogativa della nostra Costituzione, passa in secondo piano perché prevedrebbe delle politiche inflazionistiche che stimolino l’economia, le quali politiche sono, trattati alla mano, respinte. Come avrete notato c’è una forte incompatibilità fra la nostra Costituzione e questi trattati assassini. E a proposito di assassinio, una forte pugnalata alla nostra Costituzione è stata data nell’aprile 2012, quando il senato ha approvato con più dei 2/3 dei componenti il disegno di legge di riforma dell’articolo 81 della Costituzione con l’ingresso del principio del pareggio di bilancio. Con il pareggio di bilancio si minano alla base politiche di spesa in disavanzo. Ciò significa che lo Stato è relegato a un ruolo marginale non potendo più intervenire, di fatto, nell’attività economica poiché gli è impedito di attuare politiche industriali che comportino investimenti pubblici. In questo modo si mette al bando l’articolo 47 della Costituzione che dice che << La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme>>. Capite bene che se lo Stato tassa esattamente quanto spende, non ci può essere risparmio. Questo articolo 81 pur non facendo parte dei principi fondamentali enunciati agli articoli 1-12 ridisegna completamente la funzione dello Stato subordinando tutte le altre norme costituzionali.
Giacché poi è molto bravo nel rispondere a una ipotetica critica affermando che, come recita l’articolo 81, <<Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali>>, ma è la Commissione europea che calcola l’indebitamento di un paese e non lo Stato. E per farlo, ancora una volta, si avvale di criteri che tendono al raggiungimento dell’obiettivo della stabilità dei prezzi e del contenimento dell’inflazione. Da qui vengono le famose politiche di austerity che hanno distrutto capacità produttiva e creato disoccupazione.
Chiudo con il dire che uno degli obiettivi importanti che un sano governo dovrebbe avere è il ripristino della Costituzione del ’48 perché <<la sovranità appartiene al popolo>> e non alla Commissione europea o a qualche tecnocrate del nord. Ma, almeno per adesso, sembra che si pensi ad altro, come sempre. A buon intenditore poche parole.

Pubblicato originariamente su l'Opinione Pubblica

sabato 20 febbraio 2016

Grecia esangue: mercati e migrazione la affondano

di Vincenzo Cerulli

In questi giorni tutto il territorio greco è tormentato da una crisi di duplice natura: economico-finanziaria e migratoria. Nel solo 2015 in Grecia sono approdati più di 850000 migranti e credo vi ricordiate chiaramente che tipo di estate hanno passato i cittadini greci (banche chiuse per una settimana, prelievi non superiori a 60 euro, default economico ad un passo). La situazione si ripete. Pochi giorni fa la commissione europea ha dato un ultimatum alla Grecia, tre mesi per ristabilire ordine alle frontiere o i benefici del trattato di Schengen verranno riesaminati ulteriormente. Dobbiamo però chiarire una cosa, è molto pericoloso paragonare le frontiere marittime a quelle di terra: ancora di più se a dare ordini sono i paesi del centro-europa che non si devono preoccupare in prima persona delle frontiere esterne, più esposte, fluide e incontrollabili. Un documento della Repubblica Ellenica riporta questo: ” I controlli alle frontiere di mare sono diversi da quelli di terra. Non si possono costruire barriere e il diritto internazionale proibisce il respingimento. Al contrario, il diritto internazionale impone il soccorso alle persone in pericolo in mare. La Grecia adempie tutti i suoi impegni internazionali con operazioni di soccorso che salvano migliaia di vite umane.” Per questo viene da riflettere se poi a decidere sulle frontiere esterne sono proprio quei paesi che quelle frontiere le vedono solo in foto. Il problema dei migranti influisce sul fronte economico e viceversa. Sono di pochi giorni fa le parole di Paul Thomsen (capo economista FMI) che evocano di nuovo l’incubo Grexit, nel caso in cui non venga messo in piedi un piano per sostenere il debito. Tsipras non è più benvoluto dal popolo (negli ultimi sondaggi Syriza è secondo a più di 3 punti percentuali dal partito liberal-conservatore New Democracy in testa) e le manifestazioni di questi giorni (di cui i media italiani stanno riportando ben poco) lo dimostrano abbondantemente: migliaia di agricoltori bloccano le principali autostrade del paese ogni giorno, aggirando le forze dell’ordine hanno bloccato anche l’autostrada principale che conduce Atene all’aeroporto ed arrivati al palazzo del ministero dell’agricoltura hanno trovato sfogo lanciando pietre e ortaggi contro forze dell’ordine che hanno risposto con gas lacrimogeni e granate assordanti. Protestano per l’aumento delle tasse, a cui Tsipras è obbligato per risanare il debito, e per la riforma delle pensioni che porterà a tagli del 15-30%: questo è lo scenario a cui ha portato l’austerità. Le proteste sbarcano anche nelle isole: a Kos, circa 2000 persone il 14 febbraio hanno protestato contro la costruzione di 1 dei 5 hotspot per l’accoglienza dei migranti perché influirebbe negativamente sull’immagine dell’isola, la cui economia si regge quasi unicamente sul turismo. La polizia in tenuta antisommossa ha reagito disperdendo la folla (fra cui bambini, donne e anziani) con gas lacrimogeni. Politiche migratorie inconsistenti e politiche economiche neoliberiste continuano a far scivolare sempre di più la Grecia in un baratro da cui non sembra visibile alcuna via d’uscita. A proposito del legame intrinseco fra economia e migrazione vanno riportate le parole di Varoufakis, che ha da poco inaugurato il suo nuovo movimento politico DiEM25. Nella conferenza di presentazione a Berlino ha detto che c’è il serio rischio di trasformare Italia e Grecia in “campi di concentramento” per rifugiati. Alla buon’ora Yanis!