sabato 20 febbraio 2016

Grecia esangue: mercati e migrazione la affondano

di Vincenzo Cerulli

In questi giorni tutto il territorio greco è tormentato da una crisi di duplice natura: economico-finanziaria e migratoria. Nel solo 2015 in Grecia sono approdati più di 850000 migranti e credo vi ricordiate chiaramente che tipo di estate hanno passato i cittadini greci (banche chiuse per una settimana, prelievi non superiori a 60 euro, default economico ad un passo). La situazione si ripete. Pochi giorni fa la commissione europea ha dato un ultimatum alla Grecia, tre mesi per ristabilire ordine alle frontiere o i benefici del trattato di Schengen verranno riesaminati ulteriormente. Dobbiamo però chiarire una cosa, è molto pericoloso paragonare le frontiere marittime a quelle di terra: ancora di più se a dare ordini sono i paesi del centro-europa che non si devono preoccupare in prima persona delle frontiere esterne, più esposte, fluide e incontrollabili. Un documento della Repubblica Ellenica riporta questo: ” I controlli alle frontiere di mare sono diversi da quelli di terra. Non si possono costruire barriere e il diritto internazionale proibisce il respingimento. Al contrario, il diritto internazionale impone il soccorso alle persone in pericolo in mare. La Grecia adempie tutti i suoi impegni internazionali con operazioni di soccorso che salvano migliaia di vite umane.” Per questo viene da riflettere se poi a decidere sulle frontiere esterne sono proprio quei paesi che quelle frontiere le vedono solo in foto. Il problema dei migranti influisce sul fronte economico e viceversa. Sono di pochi giorni fa le parole di Paul Thomsen (capo economista FMI) che evocano di nuovo l’incubo Grexit, nel caso in cui non venga messo in piedi un piano per sostenere il debito. Tsipras non è più benvoluto dal popolo (negli ultimi sondaggi Syriza è secondo a più di 3 punti percentuali dal partito liberal-conservatore New Democracy in testa) e le manifestazioni di questi giorni (di cui i media italiani stanno riportando ben poco) lo dimostrano abbondantemente: migliaia di agricoltori bloccano le principali autostrade del paese ogni giorno, aggirando le forze dell’ordine hanno bloccato anche l’autostrada principale che conduce Atene all’aeroporto ed arrivati al palazzo del ministero dell’agricoltura hanno trovato sfogo lanciando pietre e ortaggi contro forze dell’ordine che hanno risposto con gas lacrimogeni e granate assordanti. Protestano per l’aumento delle tasse, a cui Tsipras è obbligato per risanare il debito, e per la riforma delle pensioni che porterà a tagli del 15-30%: questo è lo scenario a cui ha portato l’austerità. Le proteste sbarcano anche nelle isole: a Kos, circa 2000 persone il 14 febbraio hanno protestato contro la costruzione di 1 dei 5 hotspot per l’accoglienza dei migranti perché influirebbe negativamente sull’immagine dell’isola, la cui economia si regge quasi unicamente sul turismo. La polizia in tenuta antisommossa ha reagito disperdendo la folla (fra cui bambini, donne e anziani) con gas lacrimogeni. Politiche migratorie inconsistenti e politiche economiche neoliberiste continuano a far scivolare sempre di più la Grecia in un baratro da cui non sembra visibile alcuna via d’uscita. A proposito del legame intrinseco fra economia e migrazione vanno riportate le parole di Varoufakis, che ha da poco inaugurato il suo nuovo movimento politico DiEM25. Nella conferenza di presentazione a Berlino ha detto che c’è il serio rischio di trasformare Italia e Grecia in “campi di concentramento” per rifugiati. Alla buon’ora Yanis!

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