mercoledì 27 aprile 2016

Il tuffo e la crisi


di Valerio D'Agostini

Non è facile comparare questa con le altre grandi crisi economiche del passato, e di conseguenza non è nemmeno facile offrire un quadro chiaro e risolutivo dei problemi mettendo a confronto l'una con le altre, come spesso accade in simili situazioni. 
La differenziazione è soprattutto dovuta alla tipologia di crisi economica che stiamo vivendo: la nostra è probabilmente una crisi detta a "tripla V" (triple dip), e il tempo, facendo i dovuti scongiuri, forse ce ne darà conferma. Infatti il 2016 è il decimo anno di crisi, considerando come data di inizio il 2007-2008 americano, e osservando i grafici di tassi di crescita e decrescita mondiali, notiamo che abbiamo avuto una caduta nel primo periodo, seguito da una leggera ripresa, per poi avere una nuova discesa e risalita, e ora ci troviamo all'orlo di questo pendio, con probabile successivo dip, appunto il terzo. 
Questo è un caso abbastanza singolare se guardiamo al passato, perché il Panico nel 1837-43 fu una crisi a U con caduta e lenta ripresa, la Lunga Depressione (1873-1879) fu a W (double dip) e la Grande Depressione del 1929 fu a V (caduta violenta e ripresa vertiginosa).
Quindi anche paragoni con quest'ultima lasciano il tempo che trovano da un punto di vista formale, dato che quella fu una crisi profonda ma relativamente breve, quella dei nostri anni è abbastanza tenue però di lunga durata. Ma quale delle due si sarà dimostrata, alla fine, più tossica per lo sviluppo globale?

martedì 26 aprile 2016

L'Austria svolta a destra


di Simone Mela

Un alto duro colpo all’Unione Europea arriva dall’Austria dove alle elezioni presidenziali il candidato del partito della libertà, Freiheitliche Partei Österreichs (Fpö), Norbert Hofer prende oltre il 35% dei consensi  staccando nettamente il secondo arrivato Alexander Van der Bellen, leader dei Verdi, che non va oltre il 21%. Saranno loro due a sfidarsi al ballotaggio del prossimo 22 maggio. <<Abbiamo scritto la storia, oggi inizia una nuova era politica>> sono le parole del leader dell’ Fpö Heinz-Christian Strache. Crollano invece i due partiti storici che si sono spartiti Vienna negli ultimi decenni: Andrea Kohl del partito dei popolari e il socialista Rudolf Hundstorfer  si fermano infatti all’11%.
A quanto pare non è stata sufficiente la presa di posizione nei confronti dell’immigrazione e dell’accoglienza illimitata del premier socialista Werner Faymann a sgonfiare i voti che più di sei milioni di austriaci hanno deciso di dare allo schieramento anti-UE. L’Europa ora trema davvero, l’ipotesi di un ripristino della frontiera al Brennero è sempre più  realistica. Dall’Austria il ministro degli Esteri  Sebastian Kurz ha fatto sapere che <<se non si riuscirà a ridurre il numero degli irregolari della rotta mediterranea, allora Vienna sarà costretta a introdurre i controlli al Brennero>>. Ciò significherebbe  l’acclarata violazione del trattato di Schengen che prevede la libera circolazione di persone e merci e che, insieme al trattato di Maastricht, costituisce uno dei due pilastri dell’Unione europea. Con la più che probabile elezione di Hofer le cose non potranno che andare in questa direzione: lui stesso ha minacciato di voler sfiduciare  il governo se non verranno scelte soluzioni più intransigenti sugli immigrati. L’Italia rischia di subire un’invasione senza poter far niente visto che ha anche incassato il voltafaccia tedesco. A riguardo si è infatti espresso il ministro degli Interni tedesco Thomas De Maiziere affermando che l’Italia non si può aspettare che il Brennero sia sempre aperto.
Spicca così un’altra forza sovranista, identitaria ed euroscettica che si unisce al già radicato Front National di Marine Le Pen, al neonato tedesco Alternative für Deutschland (AfD), al polacco Diritto e Giustizia di Kaczynski e all’ungherese Fidesz-Unioce Civica Ungherese di Orban. Insomma ci sarà sicuramente un motivo, anzi forse più di uno, se milioni di europei da qualche anno a questa parte stanno dando la loro fiducia a questi tipi di schieramenti politici. Forse sarebbe il caso di smetterla di etichettare simili partiti come populisti e xenofobi e di capire le ragioni del loro consenso. Consenso che va ricercato nei vari vulnera, come quello dell’immigrazione incontrollata o il deficit di democrazia, ai quali l’Unione europea, che sembra sempre di più un grande mercato, non è in grado di dare risposte convincenti. D’altronde quelle poche volte che viene chiesta, vox populi, vox dei.

venerdì 22 aprile 2016

Contro la "classe" semicolta


di Vincenzo Cerulli

Questa immagine esprime al massimo livello la visione del mondo dei semicolti. Per loro non c’è alcuna distinzione fra un dittatore fascista, il leader di un partito socialista arabo, uno degli statisti più grandi al mondo e un buffone che poteva avere successo solo in Italia.“Classe”, fra virgolette perché è un concetto molto più fluido di quanto si possa credere ma per adesso teniamocelo per buono (sempre fra virgolette eh). La “classe” semicolta è quel consorzio di individui che meglio rappresenta la situazione culturale del mondo odierno, la loro formazione culturale è precipuamente, se non completamente, fondata sull'esplorazione in internet. Nel Medioevo ad occupare il campo della formazione culturale delle elite (politiche o religiose che fossero) c’erano principalmente le università e i monasteri, la cultura popolare invece (che non era una sub-cultura come quasi la totalità della nostra odierna) era ispirata e accesa dalla tradizione orale (i vecchi avevano un valore quasi sacro in quanto custodi viventi della memoria del passato) e dalle varie gilde di artigiani. Oggi gilde e tradizione orale non ci sono più, non serve a niente ricordare se internet lo fa per noi, e internet arriva molto più facilmente alla classe media rispetto ai rami d’influenza delle università.  Date queste premesse le conseguenze sono presto dette, “dottori” sparsi in tutto il mondo sempre pronti a dare la propria versione su QUALSIASI argomento (rigorosamente dietro la tastiera sia chiaro). Provo a darvi una definizione di “classe” semicolta: quell'insieme fluidissimo (nel senso che si costituisce di membri ogni volta diversi a seconda della situazione) di persone che credendo di operare una critica “oggettiva ed imparziale” nei confronti di chi giudicano “in errore-ingenuo-eccitato a torto” si riduce in realtà a decostruire (con “ironia” nella maggior parte dei casi) ogni possibilità di critica ragionata al sistema dominante. In pratica fanno di tutto il possibile fronte della dissidenza critica un unico fascio di A-complottisti,B-fascisti,C-antisemiti,D-sovranisti sul modello dell’armata brancaleone,E-comunisti (questo in rare occasioni),F-pazzi,G-ignoranti,idioti. Non per forza utilizzano una “lettera” alla volta e tutti gli epiteti che utilizzano non si esauriscono in queste 7 lettere; anzi è gradito il contributo di chiunque per articolare il vocabolario di questi finti debunker (leggasi scientisti postmoderni). Sterilizzano il dissenso. Vi porto ora alcuni esempi concreti sennò parliamo del nulla, di pagine del genere Facebook ne è pieno. 

Esempio 1: in questa immagine c’è tutta la dogmatica sicumera di chi crede di poter liquidare le (giuste) pretese di sovranità economica con una battuta. Tutte le scuole economiche che si oppongono al neoliberismo ripetono da anni che in una situazione di deflazione totale come quella attuale l’unico modo per riattivare la domanda d’acquisto è far partire dei grandi piani industriali a medio-lungo termine. Per far questo serve un utilizzo massiccio della spesa pubblica (a grandi linee quello che è successo con il New Deal americano), quindi lo Stato deve obbligatoriamente tornare a stampare moneta. Con questo non si vuole dire che immettere grandi liquidità sul mercato sia sufficiente  a superare qualsiasi crisi ma negare che sia un passaggio OBBLIGATORIO e NECESSARIO  per uscire da una crisi deflattiva significa negare la storia passata e l’attuale realtà dei fatti.


Esempio 2-3: l’occasione è il referendum abrogativo del 17 aprile scorso. Una massa informe e disinformata (per fortuna non è la totalità di chi ha votato sì) è andata a votare sì. Questo è accaduto, il referendum è stato politicizzato dagli ambientalisti che l’hanno indirizzato su binari per loro più appetibili, presentandolo più o meno in questi termini: “chi vota sì ha a cuore il mare, l’ambiente e il futuro dei nostri figli; chi vota no non merita alcuna libertà politica e deve essere escluso dal consorzio della società civile”. Peccato che la questione ambientale non fosse proprio il nucleo centrale di questo referendum, si parlava più che altro di sovranità energetica. Comunque, la “classe” semicolta si schiera per l’astensionismo ragionato principalmente per questo motivo: “in questo referendum chi vota sì è solo un ambientalista esaltato, rivoluzionario dell’ultima ora, del sabato pomeriggio o della domenica mattina quindi noi ci asteniamo da questa farsa”. Ecco, la differenza fra questi e chi ha votato sì ingenuamente sta TUTTA in due articoli in più che hanno letto i semicolti, nulla di più. Tra l’altro, che si parli di economia, politica, immigrazione, società o cultura in generale, la differenza fra il parere del popolo “ingenuo e genuino” (su quest’espressione i semicolti si divertirebbero a fare battute) e la “classe” semicolta sta SEMPRE in non più di 2-3 articoli di differenza, mezz’ora di studio. Per chiuderla con una battuta potremmo dire che se il popolo “ingenuo e genuino” rappresenta spesso gli istinti dei rivoluzionari dell’ultima ora, la “classe” semicolta è formata da “controrivoluzionari” nati mezz’ora prima. Non è mia intenzione riportare qui tutti gli esempi possibili anche perché non finirei più, questi che ho abbozzato qui sopra spero possano servirvi a riconoscere spontaneamente altri casi che ritroverete in futuro. 

mercoledì 20 aprile 2016

La Scienza oltre la scienza


di Edoardo Rivetti

“I chitarristi passano metà della propria vita ad accordare lo strumento e l'altra metà a suonare scordati.” Andrés Segovia

Per sopravvivere al dubbio iperbolico, non solo l'uomo, ma anche la società deve trovare delle rade il più possibile al riparo da venti. Ogni società fabbrica le sue, di rade, ed oggi viviamo nell'era della sicurezza scientifica. Due sono le caratteristiche che sono proprie di ciò che ci viene mostrato come scienza: il fatto che i suoi risultati destino in noi una sensazione di sicurezza e la torre d'avorio, aperta per solo pochi eletti, che ne è la sede. Ma ciò che si nasconde in quell'inoppugnabile edificio è davvero la scienza, quella vera?
Herbert Marcuse ne “L'uomo a una dimensione” afferma che il metodo conoscitivo della scienza è, per sua virtù, capace di figurare un universo sterminato dall'obiettività irraggiungibile. Come dare torto a chi si culla nei passaggi logici che intercorrono in una dimostrazione matematica? Come preferire a questa placida passeggiata scandita da rassicuranti “=”, una tortuosa gita negli erti sentieri (spesso interrotti) della filosofia, che la maggior parte delle volte portano in selve oscure (o in foreste nere)?
Ma il metodo scientifico vero è ben diverso, molto più insicuro ed affascinante. Si prenda il caso dell' esistenza delle onde gravitazionali, ipotizzata da Einstein più di cento anni fa e l'11 febbraio di questo anno verificata in modo diretto. Tutti a gioire di questo fatto quando in realtà la risposta che avremmo dovuto auspicare sarebbe dovuta essere la confutazione. Perché? Una teoria scientifica non si proverà mai giusta, ma solo confermata. Non esiste il medioevale “Libro della natura” in cui verificare la correttezza delle formule partorite dalla mente geniale dei fisici di tutta la storia; quindi, le uniche formule di cui saremo mai in grado di determinare la verofalsità saranno quelle non verificate dai dati, quindi solo quelle false. La meccanica newtoniana per secoli è stata accettata come vera, salvo essere rimpiazzata dalla fisica di inizio novecento, relativistica e quantistica. Wittgenstein in “Della certezza” sottolinea proprio come la correzione a una qualunque opinione non sia in alcun modo più certa di quella che ha sostituito, fondamentalmente perché la stessa certezza altro non è che una “nidiata di proposizioni” senza alcuna verità al di là del nostro credere in esse in modo sociale; tanto è illusoria la nostra certezza, quanto è vero che una riformulazione di un intero sistema desta molte meno preoccupazioni di una falla nella nostra sicurezza.
La scienza che studia la natura si muove in forma squisitamente dialettica; l'unico passo avanti è l'aufhebung (il superamento) che fa collassare i giganti sulle spalle dei quali ci siamo issati. Ancora con Hegel, possiamo dire che nella scienza si applica la formula omnis determinatio est negatio, certo, con un significato riveduto e corretto, ma sempre aderente alla sentenza.
Il tutto fa apparire un nuovo volto della scienza, la rende quasi un bimbo innocente ed ancora inesperto di ciò che lo circonda. Molto diverso da quanto ci viene propinato: la scienza che con i suoi  LHC ci detta come va il mondo, salda e forte come Anteo. Peccato che Eracle lo sconfigga, Anteo, semplicemente sollevandolo da terra.


“Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Fallisci ancora. Fallisci meglio.” (Samuel Beckett)

martedì 12 aprile 2016

L'Unione Europea è in continua agonia


di Simone Mela

«Le prospettive per l’economia mondiale sono circondate da incertezza. Dobbiamo fronteggiare persistenti forze disinflazionistiche. Si pongono interrogativi riguardo alla direzione in cui andrà l’Europa e alla sua capacità di tenuta a fronte di nuovi shock. In questo, il nostro impegno a onorare il mandato conferitoci continuerà a rappresentare un’ancora di fiducia per i cittadini d’Europa».
Sono state queste le parole del numero uno della Bce Mario Draghi nella prefazione al rapporto annuale della Banca Centrale Europea.  Non sono parole di poco conto se pensiamo che Draghi è l’uomo del “whatever it takes”, l’uomo del salvataggio dell’euro a tutti i costi. Ha comunque rivendicato l’utilizzo del QE senza il quale ha detto che «l’inflazione sarebbe stata negativa nel 2015, più bassa di oltre lo 0,5% nel 2016 e inferiore dello 0,5% nel 2017». Il messaggio che vuole far passare Francoforte è che «la Bce non intende arrendersi a un’inflazione troppo bassa, anche di fronte a forze deflazionistiche globali». A confermarlo è stato anche il capo economista della Bce, Peter Praet :«Se ulteriori shock avversi dovessero materializzarsi, le nostre misure potrebbero essere ricalibrate una volta di più». Lo stesso Praet e il vicepresidente della Bce, Vitor Costancio, hanno sconfessato l’opzione “helicopter money”, la quale accrediterebbe denaro direttamente alla popolazione al fine di far riprendere i consumi e innalzare l’inflazione. «L’helicopter money non è sul tavolo, non lo stiamo discutendo», questo quanto detto da Praet, il quale però non sembrava così riluttante qualche settimana fa: «La nostra cassetta degli attrezzi non è vuota. Ci sono molte cose che possiamo fare. In principio possiamo creare moneta e distribuirla alle persone. La domanda è quando sia opportuno usare questo tipo di strumento, veramente estremo».
Tuttavia per quanto Draghi cerchi di rassicurare l’ambiente, si è ancora molto lontani dall’obiettivo inflattivo del 2%. Secondo gli ultimi dati forniti da Eurostat, l’eurozona ha registrato un’inflazione negativa per lo 0,2%, confermando che le iniezioni di Draghi intraprese più di un anno fa  sono servite veramente a poco. Questo perché una politica monetaria, da sola, non è sufficiente per far ripartire l’economia. Servono riforme  dal lato della domanda unite a una politica fiscale più leggere. Due elementi che vanno però nella direzione opposta a quella dei trattati europei ratificati dai parlamenti nazionali. Il pareggio di bilancio (art.81) vi dice qualcosa? Lo Stato tassa 100 per poi spendere 100 con evidente saldo pari a 0, rendendo impossibile spesa a deficit e una riduzione della pressione fiscale.
Se consideriamo le parole di Draghi all’interno del panorama politco europeo, è curioso notare che le sue dichiarazioni sono arrivate poco dopo i risultati del referendum consultivo olandese dove il 32% degli elettori (il quorum era al 30%) hanno risposto negativamente (64% contro il 36%) a un accordo tra Ucrania e UE. E pensare che gli olandesi sono fra i popoli più filo-europeisti, la dice lunga sulla crescente mancanza di fiducia verso gli enti europei. E’ la stessa mancanza di fiducia che si è riscontrata a inizio marzo in Germania dove alle elezioni regionali il neo-partito AfD ha riscosso numerosi successi arrivando nei tre Länder in cui si è votato con risultati a due cifre. A ciò si aggiunge il referendum sul Brexit che si terrà a giugno e le ondate migratorie che hanno visto alcuni stati ripristinare le loro frontiere interne. E non dimentichiamoci che in Francia il Front National si è ormai radicato come la prima forza nazionale.
Tutto questo per dire che il malcontento verso la struttura e le politiche targate UE sembra attraversare tutta l’Europa. Quella di Draghi pare essere un’ulteriore crepa. Crepe che stanno facendo tremare il grigio castello europeo che non riesce più a far fronte agli innumerevoli problemi che investono il vecchio continente.

Pubblicato originariamente su "L'Opinione Pubblica"

domenica 10 aprile 2016

Doromizu - riflessioni sull'abisso


di Vincenzo Cerulli

Doromizu, “acqua torbida”, è il ventre della Tokyo di inizio millennio descritto da Mario Vattani nel suo romanzo d'esordio. Alex, protagonista dell’opera e alter-ego dell’autore, ci accompagna nella discesa in questo abisso dove colpa e pentimento non sono assolutamente di casa, dove tutto ciò che mette in atto nella ricerca per la propria identità si pone sempre “al di là del bene e del male”. In questa discesa nell’abisso sono diversissimi fra loro i vari personaggi a comparire sulla scena. Fondamentali sono le figure femminili, paragonate a demoni e animali sacri della mitologia nipponica, Aya e Tomomi (due mondi opposti), a volte trascinano Alex sempre più in fondo al cuore dei suoi istinti; altre volte gli mostrano una luce possibile, una redenzione che però non è realizzabile perché non c’è colpa, come l’autore tiene a sottolineare: ”Qui siamo liberi, anzi sono io a essere libero. Perché sono nel luogo dove si può raccontare qualsiasi storia, sono nell’oriente estremo, dove non ci sono né colpa né perdono, c’è solo l’audacia dello sforzo, la sventatezza di chi decide di dare il meglio di sé, quale che sia il suo cammino, non importa se per il bene o per il male, perché tanto tutto decade, si sbriciola, si sfascia.”  Troviamo schiere di miserabili, sia uomini che donne, costretti a vendere il proprio corpo e la propria dignità in filmetti porno per ripagare i propri debiti e cercare di sopravvivere, troviamo decine e decine di ragazze che vendono la propria dignità pur non avendone strettamente bisogno, troviamo la Yakuza che con il suo sistema di valori accompagna Alex nella ricerca della sua identità. Alessandro Merisi, italiano solo per il passaporto, nato e residente a Londra, orfano di madre in tenera età, rappresenta alla perfezione lo sradicato apolide che la globalizzazione ci vuole offrire come unico modello di esistenza possibile; ma a tutto questo il protagonista si ribella, è per questo motivo che parte per il Giappone, per “darsi radici”. Questo percorso è doloroso, Alex lo sa, sa che l’irezumi è la tecnica di tatuaggio più dolorosa ma è solo così che si entra nella “family”, nell’ultima seduta dal maestro tatuatore questi gli dirà: “Vedrai che alla fine ti farà male dappertutto, e sentirai il drago e la tempesta e i fiori di ciliegio in tutto il corpo. Ma in fondo è anche giusto che sia così”, e così sarà infatti. Il drago nascerà in primavera, nei giorni in cui i fiori di ciliegio sbocciano, quando Alex sarà più vicino al limite dell’abisso in cui deve obbligatoriamente scendere per trovare la propria identità. Sono innegabili gli influssi di Nietzsche, come è innegabile lo sfondo su cui va in scena la storia, questo sfondo fu anche il nemico giurato del filosofo di Röcken: il nichilismo appunto. Nietzsche scriveva nelle “tre metamorfosi” che il leone, uccidendo il drago, si è fatto “signore nel deserto” e che il deserto di valori è l’unica strada percorribile prima di tornare a creare valori nuovi come fanciulli. Quel deserto lo stiamo ancora percorrendo e, probabilmente, lo stesso ha fatto Alex immergendosi nell’acqua torbida del ventre di Tokyo. Il suo “deserto” sono i “love hotel” e i “night club”, le ragazze puttane avide e i quartieri lerci, il lavoro come cameraman dei film porno pur non avendone bisogno è il suo deserto. Alex però rimane libero, perché sfida il deserto, e invita noi con lui ad attraversarlo, pur sapendo che alla fine non ci sarà catarsi o redenzione ad attenderci.

lunedì 4 aprile 2016

"Ad occhi chiusi" - Recensione


di Beatrice Ambrosi


Il 9 maggio del 1921 al Teatro Valle di Roma, mentre è in scena Il giuoco delle parti, dalla
porta principale della sala entrano sei personaggi in cerca di una forma, in cerca di un
autore: il capocomico che è già sul palcoscenico decide di rappresentare il dramma di
questi, attribuendo le loro parti agli attori già presenti; la platea è in preda alla confusione,
non comprende cosa stia accadendo e comincia a gridare "Manicomio!".
L'autore di questo espediente è Luigi Pirandello, il quale da qui in poi distruggerà le
convenzioni del teatro borghese, utilizzando la tecnica del metateatro, che concretamente
significa fare teatro nel teatro: il poeta disintegra quindi lo spazio teatrale, abbattendo la
barriera che separa gli attori dal pubblico, coinvolgendo in prima persona lo spettatore.
Tale risultato è stato raggiunto anche da un artista dei nostri tempi, Carlo Fineschi,
regista dello spettacolo Ad occhi chiusi, tratto dall'omonimo romanzo di Gianrico
Carofiglio che racconta un giallo giudiziario dal punto di vista dell'avvocato Guido
Guerrieri (qui Adelmo Togliani), che si trova a difendere Martina Fumai (qui Sara
Allegrucci), vittima di abusi domestici e giochi sadomasochistici da parte del convivente
Gianluca Scianatico (qui Matteo Bolognese), figlio del presidente di una sezione penale
nella Corte d'appello e per ciò intoccabile, poichè nessun avvocato vuole inimicarsi il
padre.
La trama della rappresentazione teatrale è la stessa, ma il regista ha deciso di impostarla
sotto tre punti di vista: l'avvocato, la vittima e il carnefice. La novità sta nel fatto che lo
spettatore non dispone di quella onniscienza tipica del teatro nostrano poichè con
un'unica visione può conoscere solo una delle prospettive: dovrà quindi partecipare
nuovamente alla rappresentazione teatrale per avere un quadro più completo della
vicenda (ne avrà sicuramente curiosità!). Questo tipo di impostazione corrisponde ad una
realtà in cui raramente si conoscono tutte le sfaccetture di una storia, in cui si è talmente
convinti di un'idea, che si rimane sorpresi se poi questa viene stravolta. Ed è ciò che
accade in questo contesto: chi dice la verità, Martina o Gianluca?
Un'altra scelta innovativa è stata quella di realizzare un teatro itinerante, durante una
 serata romana, in cui gli spettatori, suddivisi in gruppi (in base al punto di vista scelto),
sono accompagnati da una guida con cui non si può interloquire (si scoprirà poi che
anche questa è parte dello spettacolo) nei luoghi in cui si svilupperà la storia: un
appartamento, un edificio in cui vengono accolte vittime di maltrattamenti e il MAXXI.
Luci soffuse, musica inquietante di fondo e una recitazione di alta qualità da parte di attori
per la maggior parte poco conosciuti conferiscono al dramma un'atmosfera tetra e
realistica, sulle sfumature del thriller, accentuate da un dolore non espresso visivamente,
ma percettibile tramite urla, rumori e pianti; espressioni eloquenti del volto che fanno
venire i brividi, dialoghi essenziali ed efficaci e discorsi profondi ed incisivi regalano
emozioni impagabili allo spettatore costernato, sorpreso, che non può nulla di fronte allo
strazio a cui assiste: Ad occhi chiusi fa immergere completamente il pubblico in una
esperienza alienante e disarmante, a tal punto da far chiedere se sia realtà o finzione, da
voler far intervenire nelle scene più cruente.
L'intensità dell'intera opera non consiste in cosa viene raccontanto (sebbene sia un tema
delicatissimo a cui tutta la compagnia ha saputo dare dignità) ma nel modo in cui viene
fatto: la trama infatti non risulta banale nè si sofferma troppo su temi triti e ritriti, ma ci
offre discorsi interessanti ed informativi riguardanti ad esempio antiche leggende circa le
tecniche di combattimento, alludendo alla lotta della non resistenza ed al fatto che stare
ad occhi chiusi, ed è questo il nucleo della storia riassunto dall'omonimo titolo, non
significa avere paura ma semplicemente aver colto il momento in cui cedere, come un
salice che per molto sopporta la neve, per poi scrollarsene il peso e tornare alla posizione
primaria.
Pirandello e Fineschi rappresentano dunque un modo di fare teatro che abbatte quel
distacco, quella freddezza che ci sarebbe dentro una sala, rendendo al contrario
protagonisti dell'opera gli stessi spettatori. La domanda che però continuerà a tempestare
la nostra mente nel corso della vicenda sarà: è realtà o finzione?
E voi, non siete curiosi di chiedervelo?

Trailer spettacolo:
https://www.youtube.com/watch?v=R_Ni7nE1Zk4

venerdì 1 aprile 2016

Se l'Unione Europea migrasse verso oriente?


di Gianluca Boanelli


Un insieme di nazioni differenti per cultura, condizione economica e aspettative
decidono di affrontare un percorso ambizioso comune per giungere a una
progressiva “unione”, prima commerciale, poi nel mercato del lavoro, dunque il
raggiungimento della libera circolazione dei capitali.
Una storia già sentita? In effetti il quadro proposto sembra chiaramente ispirato alla
nascita della Comunità Economica Europea (accordi di Roma del 1957), che oggi, o
meglio, in seguito al trattato di Maastricht, è stata assunta come “primo pilastro”
dell’azione dell’Unione Europea.
Tuttavia la comunità in questione dista quasi sessant’anni dal percorso europeo
verso il libero scambio e riguarda un contesto geografico e culturale che mai
potrebbe essere più lontano dal Vecchio continente
Infatti non ci troviamo nella vecchia Europa ma nella assai più giovane Asia, in
particolare il Sud- Est asiatico, dove proprio nel 2015 nasce l’ASEAN ECONOMIC
COMUNITY, promossa dai 10 leader dell’ASEAN (Associazione dei paesi del Sud-Est
asiatico). In maniera insospettabile, proprio nel decennio di maggiore contestazione
del sistema Europa, il cui è apice è di certo il paventarsi della cosiddetta BREXIT,
qualcuno sembra ispirarsi al modello europeo proprio con la volontà di giovare di
quegli stessi benefici che da sempre sono state le basi istituzionali fondanti della UE.
In sostanza l’AEC, dopo il passaggio da forum economico a comunità economica avrà
l’obiettivo di integrare gli interessi economici di 10 paesi per un totale di 600 milioni
di persone promuovendo inizialmente proprio il libero scambio all’interno del
contesto economico condiviso.
Le analogie con la storia del percorso europeo sono al dir poco stupefacenti a partire
proprio dalle caratteristiche dei paesi fondatori. Infatti la situazione di partenza è
piuttosto disomogenea dal punto di vista sia politico che economico allo stesso
modo della condizione europea nel dopoguerra. Infatti da una parte vanno
considerati i paesi guidati dal partito comunista nazionale (Vietnam e Laos), giunte
militari(Thailandia), novelle democrazie (Myamar, Cambogia) si dovranno
confrontare con relate piuttosto diverse quali le nuove “tigri asiatiche” dell’high tech
quali Singapore e Malaysia nonché stati estremamente popolosi quali Filippine e
Indonesia caratterizzati da differenze politiche e religiose.
Di fronte a un quadro così complesso non è tuttavia possibile mettere in secondo
piano il ruolo giocato dai due osservatori “silenziosi” (ma non troppo), ovvero Cina e
Giappone.
La politica giapponese sembra infatti quella più aperta al sostegno dello sviluppo del
Sud est asiatico, visto il ruolo che potrebbe giocare in un futuro prossimo nella
domanda infrastrutturale. Il discorso vale in particolare per le esigenze dei cosiddetti
paesi del “Mekong” i quali necessitano di costruzioni ferroviarie, porti e via dicendo.
In questi Segmenti il paese del sol levante può vantare colossi di esperienza
mondiale (Hitachi, Mitshubishi) i quali hanno sostegno anche nel più lontano
conteso europeo. D’altro canto molti dei paesi considerati sono tutt'ora
prevalentemente dipendenti dalla grande domanda cinese che, nonostante abbia
subito una diminuzione non indifferente a partire dall’estate 2015, sembra essere in
prospettiva un elemento idiosincraticamente destinato a caratterizzare ancora per
molto a queste nazioni fino ad ora “satellite”.
 In sintesi le prospettive di sviluppo della comunità si muovono su due linee
parallele, da una parte una progressiva stabilizzazione geopolitica inevitabilmente
necessaria per la continuità nel tempo, dall’altro lato un’attenta gestione delle
relazione con Cina e Giappone. Tali rapporti dovranno muoversi di certo sia verso
una più stretta collaborazione ove non vi sia l’expertise necessario per uno sviluppo
economico autonomo, sia verso una certa indipendenza in quei settori nei quali il
vantaggio competitivo degli stessi paesi è frenato esclusivamente da fattori
istituzionali e geopolitici.
Dunque in forza di un contesto globale sempre più imprevedibile e dinamico i nostri
cugini asiatici, in un futuro ancora piuttosto lontano, potrebbero essere in grado di
imparare dal modello di integrazione economica europea, migliorarlo e superarlo, in
forza, probabilmente, del più classico e oserei antico vantaggio del follower, ovvero
che si impara dagli altri sfruttandone i punti di forza e evitando gli errori compiuti.

Fonte: www.ilSole24ore.com