domenica 18 ottobre 2015

Fenomenologia di un’alluvione (o apologia del tombino)


di Vincenzo Cerulli

Nelle comunità di villaggio preindustriali, splendidamente descritte da Massimo Fini, l’individuo autosufficiente non esisteva; di contro, esisteva una grandiosa autarchia di comunità che ricorreva ai soccorsi esterni solo in casi eccezionali. Di certo la comunità era in grado di gestire emergenze riguardanti gli agenti atmosferici in maniera autonoma, per un semplice motivo: la prevenzione era una sana abitudine. Ad esempio se un contadino, un pastore, un fattore o un uomo qualunque notava che il terreno (che ancor oggi dovrebbe essere il primo margine agli allagamenti) non gli dava quelle garanzie a cui era abituato, di concerto con la comunità tutta si operava una bonifica. Qui per bonifica si intende rafforzamento degli argini di un fiume e messa in sicurezza delle pareti montane più predisposte alle frane. Ci si sentiva parte di una comunità, e la comunità comprende anche il territorio che si abita; per questo se il territorio non dava sicurezze ai suoi abitanti questi lo riparavano, curandolo quotidianamente. Oggi evidentemente ci siamo dimenticati che le strade e i paesaggi che scrutiamo ogni giorno ci appartengono. Vediamo il cemento divorare quotidianamente migliaia di chilometri quadrati di terra, da un giorno all’altro scompaiono alberi secolari e noi non abbiamo nemmeno più la forza di chiederci: “perché?”. La verità è che non sapremmo nemmeno a chi fare questa domanda dato che la comunità con cui dovremmo dialogare non esiste. Le persone non sono mai state connesse virtualmente ad un tale livello come oggi; ma allora perché il dialogo reale con il proprio quartiere non esiste? Questo è, a parer mio, uno dei più grandi paradossi dell’età contemporanea: alieni nel proprio quartiere e ospiti intimi nelle “bacheche” altrui. Il centralismo politico-culturale moderno ha eliminato il dialogo all'interno di tutte le migliaia di particolarità autonome comunali, scindendo l’individuo dalla comunità cui appartiene, per proporci poi il dialogo con altri atomi-individui (che abitano dall'altra parte del mondo) scissi dalla propria comunità di appartenenza anch'essi. In questo modo le migliaia di comunità particolari reali sono state sostituite surrettiziamente da un’unica non-comunità virtuale di cui tutti facciamo, più o meno coscientemente, parte. La domanda che oggi dobbiamo porci è questa: “come ricostruiamo la nostra comunità reale?”. Io mi rispondo molto pragmaticamente: dobbiamo tornare a scrutare ogni angolo del paesaggio che viviamo, questo il primo passo. Vi faccio un esempio poco elegante, se quando esco di casa vedo che i tombini della mia via stanno per otturarsi, con il piede ne libero le aperture. Non venitemi a parlare di rivoluzioni di piazza, politici corrotti o dei crimini del neoliberismo se non siete nemmeno in grado di curare il vostro orto e capire dove abitate. Se vogliamo costruire una comunità reale autonoma partiamo dai tombini, strada per strada.

venerdì 16 ottobre 2015

Caso Mondadori-RCS: ultima chance per l'editoria tricolore


di Gianluca Boanelli

La grande concentrazione paventata da anni nell’editoria italiana sembra ormai vicina a una configurazione definitiva. La nascita della goliardicamente definita “Mondazzoli” è ormai sotto l’occhio dell’Antitrust che, come autorità di regolazione, dovrà valutare la concorrenzialità della nascente “big firm” la quale si appresta a coprire quasi il 40% del mercato del libro a livello nazionale. Nonostante le critiche e i dubbi suscitati da numerosi intellettuali, Umberto Eco in testa, l’operazione potrebbe apparire da un lato l’ultima chance per la competitività di un’industria chiave nel contesto italiano. Tralasciando le critiche legate alla questione del pluralismo degli editori, questione poco trattabile in termini di economia applicata, l’operazione può essere compresa solo se collocata nell’ambito tecnologico di un settore ormai colpito su tutti i fronti dal fantomatico ebook e dal nuovo cluster di richieste del moderno “utente” o cliente qualsivoglia dell’editoria. Le difficoltà affrontate dall’industria sono emerse con forza nel corso degli ultimi anni, un ultimo report dal salone di Torino sancisce che nel singolo segmento del “trade” (librerie e librerie online, grande distribuzione esclusa Amazon) si è registrato un -2,6% a fatturato e un -4% a copie vendute nei primi tre mesi del 2015. Di conseguenza l’obiettivo della fusione, ossia la ricerca di quelle economie di ampiezza e di scala che solo i grandi numeri nel contesto moderno possono d’altra parte garantire, è ormai più che comprensibile di fronte alla competitività raggiunta dai “colossi” europei (esempi chiave la francese Hachette e l’anglo-tedesca Penguin random house). D’altro canto l’operazione di per sé non sarebbe nemmeno lontanamente in grado di contrastare, numeri alla mano, il caratteristico “nanismo” del settore il quale vanta una market share tra gli editori cosiddetti “minori” del 38,5% nel mercato italiano, senza dimenticare il ruolo ricoperto dal Gruppo GeMS (Garzanti, Corbaccio, Salani) che attualmente detiene una quota di mercato del 10,2%, quindi a seguire storici editori quali Giunti (6,1%), Feltrinelli (4,6%), De Agostini (2,3%). Tale tipica polverizzazione se da un lato è espressione del grande ruolo giocato nel tempo dall’industria nel contesto italiano, dall’altro è tuttavia sinonimo di inefficienze difficilmente colmabili nel breve termine.
Spostandoci sulla questione che più interessa il consumatore, ovvero il prezzo al dettaglio, non è lecito nemmeno chiamare in causa un possibile incremento dei prezzi a fronte dell’operazione, di fatti il mercato degli ebook, sempre più rilevante in particolare per Mondadori che opera nell’editoria per la scuola, è oggi in grado di tenere il prezzo di vendita basso per qualsiasi editore che voglia comunque continuare a sopravvivere in una condizione di normale remunerazione dei fattori produttivi competendo nel mercato ormai necessariamente “anche” digitale. Forti sarebbero invece le sinergie sfruttabili dalla Mondadori la quale, compensando i problemi finanziari del Gruppo RCS, potrebbe invece giovare della grande esperienza nell’abito della saggistica di Bur e Bompiani. Spetterà comunque a Mondadori di rispondere con misure compensative alle perplessità dell’AGCM nel momento in cui la cessione di Adelphi non sarà bastata a garantire la concorrenza nel mercato.
In attesa della risposta dell’autorità e dell’eventuale via libera all’operazione non rimane che “sorprendersi” (siamo costretti anche a questo) che un’azienda italiana possa essere rilanciata da un’altra impresa italiana, eventualità che, personalmente, non mi dispiace affatto.
Fonte: www.ilsole24ore.com

domenica 11 ottobre 2015

11\09\15 Incontro con Giulietto Chiesa


di Vincenzo Cerulli

Premessa utile: in questo articolo non intendo assolutamente indossare le vesti del profeta di vertità, per quel che posso cercherò infatti di riportare a voi alcune semplici informazioni provate da fonti ufficiali. L'11\09\01 è un argomento troppo vasto per essere esaurito in un semplice articolo, noi tutti però abbiamo il dovere di dubitare di quello che ci è stato raccontato a riguardo. Spero che il mio contributo possa accendere o rafforzare il dubbio in voi lettori.
Venerdì 11settembre 2015 una parte della redazione di VDP ha partecipato all'anteprima nazionale del film "Operation terror", organizzata da PandoraTV, nella sala Isma del Senato. Il film tenta di ricostruire l'operazione criminale, i cui architetti ci sono ancora ignoti, che, l'11\09\01 , ha portato alla morte di quasi tremila persone. La proiezione è stata preceduta da un'introduzione ai fatti da parte di Giulietto Chiesa, il quale ha presentato le più evidenti contraddizioni e “coincidenze” della versione ufficiale, concentrandosi principalmente sulle 7 esercitazioni militari in corso la mattina dell'11 Settembre 2001. In un altro articolo di Giulietto Chiesa per il Fatto Quotidiano (07\09\14) il giornalista ci fa notare che delle 8 scatole nere che avremmo dovuto ritrovare ne sono state analizzate solo 4 e non tutte erano in perfette condizioni.Eppure la commissione d'inchiesta ufficiale non fa minimamente cenno a questa mancanza. Non si può credere ad un così grande concorso di accidenti, chi cerca fra le trame dell'informazione mainstream occidentale sa bene che deve strappare tutti i fili quando si accorge che questi sono fragili. Al termine del film, che comunque riesce a ricostruire chiaramente la vicenda dando una visone propria personale, Giulietto ha presieduto un dibattitto sull'attuale situazione geopolitica mondiale dando particolare attenzione alla crisi siriana. Gli aiuti umanitari che la Russia sta inviando alla popolazione siriana e il maggiore apporto di mezzi ed armi all'esercito regolare siriano fanno ben sperare Assad, che strenuamente resiste assieme al suo popolo da più di tre anni ai tentacoli atlantisti (ribelli siriani armati dall'occidente da un lato e DAESH dall'altro). Il filo rosso che collega la strage del 2001 alle attuali crisi mediorientali è molto più evidente e pericoloso di quanto si creda. Con quell'atto, de facto, inizia il “nuovo secolo americano”. Colpiti al cuore delle proprie certezze, gli americani, non poterono fare altro che credere alla versione ufficiale (pur piena di lacune e punti in cui la razionalità viene meno) pensando che è meglio credere ad una bugia mediocre e traballante che ad una verità terribile. Ci vuole troppo coraggio per guardare in quell'abisso che hanno voluto sotterrare sotto il bombardamento mediatico quotidiano che recita: “Io sono la Verità, non avrai altra Verità all'infuori di me”. Così, avallarono anno dopo anno tutte le missioni imperialistiche dei finanziatori di Bush, in Afghanistan e in Iraq provocando oltre 1 MILIONE di morti, reclamate come guerre giuste, paventando lo spettro di al-Qa'ida sotto il vessillo di Giustizia. Ci deve essere per forza stato un cortocircuito nella mente di milioni di americani quando la commissione senatoriale sull'intelligence USA ha reso pubblico (in data 09\12\14) un estratto del suo rapporto classificato sul programma segreto di tortura da parte della CIA, e sapete perché? Perché da questo rapporto emerge la totale estraneità di al-Qa'ida agli attentati dell'11 settembre: “A seguito della pubblicazione degli estratti del rapporto, sembra che tutte le prove citate nella relazione della Commissione presidenziale d’inchiesta sugli attacchi dell’11 settembre e che collegano i suddetti attacchi ad al-Qa’ida, siano false. Ad oggi non esiste più un solo indizio per attribuire gli attacchi dell’11 settembre ad al-Qa’ida: non esiste alcuna prova che le 19 persone accusate di essere i pirati dell’aria si trovassero quel giorno su uno dei quattro aerei e che le testimonianze degli ex appartenenti ad al-Qa’ida, che rivendicavano gli attacchi, siano autentiche.” (THIERRY MEYSSAN) Questo terribile casus belli autoinflitto è il motore primario della guerra al terrorismo su cui gli USA hanno costruito il proprio imperium al di fuori dei propri territori nazionali. C'è una frase che ancora oggi fa discutere molto quando si tratta l'argomento e si trova in un rapporto di 90 pagine pubblicato dal PNAC (Project for the New American Century). Il PNAC aveva fra i suoi membri svariati deputati del partito repubblicano e diversi uomini delle passate amministrazioni Bush fra cui Dick Cheney (vice di Bush l'11 settembre), più o meno l'avanguardia dell'intellighènzia neocon americana. Comunque, nel 2000 viene pubblicato il rapporto di cui sopra, intitolato “Ricostruire le difese dell'America: strategie, forze e risorse per un nuovo secolo” e ancora “nella convinzione che l'America dovrebbe cercare di preservare ed estendere la sua posizione di leadership globale mantenendo la superiorità delle forze armate USA” (in pratica una “Pax Americana”) e la frase incriminata recita così: “Inoltre, il processo di trasformazione, anche se porterà un cambiamento rivoluzionario, risulterà molto lungo, se non si dovesse verificare un evento catastrofico e catalizzante, come una nuova Pearl Harbor”. Questa frase è stata anche riportata dallo storico Franco Cardini nello studio di Matrix il 02\06\06 ma c'è anche chi la interpreta in un altro modo, accusando chi la accosta al progetto di predominio americano di averla decontestualizzata e dunque svuotata di contenuto. In un articolo di Paolo Attivissimo infatti viene fatto notare che la frase, nel suo naturale contesto, si riferisse ad una trasformazione tecnologica e non politica. A parer mio questa diversa e possibile interpretazione non toglie al progetto PNAC alcuna mira imperialista, anche perché, de facto, i foraggiatori del progetto non nascondono i propri obiettivi; ma anzi li affermano nei loro principi esposti sul sito (ormai fuori uso). Ecco i propositi fondamentali: - "la leadership americana è un bene sia per l'America che per il resto del mondo", "questa leadership richiede forza militare, energia diplomatica e affidamento a principi morali" “un significativo incremento della spesa militare degli USA”, “Preservare ed estendere un assetto internazionale favorevole alla sicurezza, alla prosperità e ai principi degli USA”.- Sappiamo tutti cosa è successo nemmeno due anni dopo a New York, quasi 3000 morti, e il piano di americanizzazione del mondo prende una velocità ed una forza tali che nessuno avrebbe immaginato fino a pochi anni prima. La catalizzazione è riuscita, non importa a nessuno di mettere da parte la ragione per credere alla versione ufficiale, ecco, questa è la lezione più importante che possiamo trarre dall'attentato alle twin towers: oggi la Ragione è la prima vittima ad essere sacrificata sull'altare del calcolo politico, i boia sono i mass media, più forti di qualsiasi prova. Io non so qual è la verità sull'11 settembre; ma sono sicuro che chi sa veramente cosa è successo quel giorno non ci abbia raccontato la verità.

sabato 10 ottobre 2015

Oggi (o quattro anni fa se preferisci)


di Leonardo Boanelli

Magari, non tutti ne conosceranno il nome, ma, senz’altro, non sarà sconosciuto ai lettori il motivo per il quale è passato alla storia, che, da egli stesso, è stata, in qualche misura, ordinata; sto parlando di Dionigi il Piccolo, monaco nativo della Scizia, che introdusse l’era “cristiana” o “volgare” nel computo degli anni. A causa di un curioso errore del monaco, tuttavia, la nascita del Redentore fu posticipata, Questi, infatti, non nacque nel 25 dicembre del 753, come sostenuto dallo sciita, ma più probabilmente nel 749. Dunque, ad esser pignoli, oggi non saremmo nel 2015, ma nel 2019. Seguendo questo ragionamento il pensiero va istintualmente al 2011, ovvero, nel nostro “gioco” al 2015. Quattro anni fa assistemmo all’intervento militare in Libia cosiddetto “a sostegno dei ribelli libici del Consiglio nazionale di transizione”. Motivo dell’intervento: il mancato rispetto della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza, stando alle fonti ufficiali. L’Italia partecipò all’intervento con 16 velivoli cacciabombardieri tornado ECR dell’Aeronautica Militare, 8 caccia intercettori F-16, fu, inoltre, messa a disposizione della NATO la portaerei leggera Giuseppe Garibaldi (nonché concessione di basi strategiche, supporto logistico). Come suggerisce Alberto Negri dalle pagine del Sole 24ore l’Italia “che pure vantava il migliore (ruolo) diplomatico sul campo” ben poco ha ottenuto di quanto si era preposto. La qual cosa non ha, comunque, reso meno gravose per lo Stivale le spese per la missione; costi per 700 milioni di euro, derivanti in parte dai tre mesi di operazioni, ma, soprattutto, comprensivi delle spese sostenute per attività di accoglienza, gestione e rimpatrio dei profughi. Leggo da indiscrezioni trapelate da qualche tempo dal Corriere della Sera che, per ipotesi, quattro tornado italiani bombarderanno postazioni Isis in Iraq. Ipotesi che, seppur blandamente, il ministero della difesa si è trovata a dover smentire. Sebbene Gian Micalessin da Il Giornale suggerisca che si tratti di “un intervento già deciso da un ministero della difesa che indica già la strada del voto parlamentare per cambiare le regole d’ingaggio dei 4 tornado impegnati nelle missioni di ricognizione sui territori dell’Isis”. “Le guerre, non da oggi, sono soprattutto propaganda mediatica” scrive Negri ed i recenti avvenimenti sembrano proprio dargli ragione. L’Italia preferisce, infatti, vedere come una minaccia Mosul, che semmai infastidisce gli interessi geopolitici USA, distante da Roma 2708 chilometri, rispetto alle basi libiche Isis di Derna e Sirte ben più vicine alle nostre coste(400km). Scrive Negri “Allora (intervento in Libia) come oggi forse speriamo di ricavarne qualche vantaggio diplomatico o economico o mettere una pezza come in Libia (…) Chi ha visto sul campo quasi tutte le missioni belliche italiane all’estero (…) può affermare che questi vantaggi, accompagnati da vite umane perdute e spese di bilancio notevoli, non si concretizzano mai”. Matteo Renzi sostiene che bisogna evitare un Libia bis, si spera che a ripetersi, piuttosto, non sia l’Italia. Concludo, terminando anche il nostro “gioco”, con la speranza che l’errore di Dionigi sia di sostanza e non di forma. E che il 2015 differisca dal 2011 per delle scelte, non solo per dei numeri.

giovedì 1 ottobre 2015

Per un nuovo manifesto di Ventotene


di Simone Mela

''Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani''. E' un passo tratto dal Manifesto di Ventotene. Fu redatto sull'isola laziale di Ventotene nell'estate del 1941 nel bel mezzo della seconda guerra mondiale. A redigerlo furono due confinati politici antifascisti: Altiero Spinelli, ex comunista, e Ernesto Rossi, liberale, tuttora considerati i padri fondatori dell'Europa. Essi sognarono la creazione di un grande stato federale europeo mediante una rivoluzione di tipo liberal-socialista che doveva proporsi ''l'emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita'', dove non ci fosse, al contrario di oggi, l'egemonia dell'economico sul politico in quanto le forze economiche devono essere sottomesse dagli uomini, ''controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime". Anelavano a un' Europa fondata sulla solidarietà, laddove solidarietà significasse agire con aiuti concreti e diretti che permettessero di preservare la dignità di un qualsiasi paese che si trovasse in difficoltà e non una qualche forma caritativa o un compromesso economico che non fanno altro che acuire il male di cui un dato popolo soffre: vedesi quello che è successo in Grecia con la svendita di 14 aeroporti alla compagnia tedesca Fraport, unico modo per accedere al terzo pacchetto di "aiuti". Ovviamente nella cooperazione sovranazionale immaginata da Spinelli ogni singolo stato avrebbe mantenuto la propria autonomia politica onde garantire la possibilità di adattarsi alle proprie peculiarità culturali e economiche. L'Europa era stata lacerata dalla prima guerra mondiale e stava per essere martoriata nuovamente; hegelianamente parlando Spinelli ha pensato la storia del suo tempo, aveva capito quali fossero i limiti e gli ostacoli per quel tipo di Europa e quali soluzioni somministrarle per metterla in salvo. A questi intellettuali non restava altro che auspicare un periodo di pace per l'intero continente a partire dall'abolizione della divisione in stati nazionali, dalla creazione di un unico esercito garante della libertà e della sovranità dei vari stati e ultimo, ma assolutamente non per importanza, dalla convivenza pacifica con la Germania. Una visione dell'Europa del tutto legittima a quei tempi che tuttavia non ha avuto piena realizzazione nei circa cinquant'anni successivi. Un esempio? Il trattato di Maastricht. Siglato il 7 febbraio 1992 da dodici paesi europei la CEE (comunità economica europea) diventa UE (unione europea) ;oltre alla moneta unica con la conseguente creazione di una banca centrale (BCE) ha introdotto tutta una serie di misure volte allo svuotamento totale della democrazia dei singoli stati. Abbiamo consegnato la nostra sovranità a enti sovranazionali eletti da nessuno (vedi la commissione europea o la BCE). Basti leggere l'articolo 107 in cui è scritto espressamente che i governi degli stati membri non possono interferire con le decisioni prese dalla BCE rinunciando di fatto alla propria politica economica e passando sotto il giogo del ricatto di Bruxelles. Un vero disastro in tutti campi: produzione, consumo e occupazione. Jean Pierre Chevènement ,socialista, nel 1992 si schierò contro la ratifica di Maastricht stigmatizzando il trattato in questo modo: <<Maastricht è il risultato di una concezione tecnocratica dell' Europa. E' l' Europa fatta attraverso la moneta, secondo le condizioni volute dalla Bundesbank tedesca>>. Non proprio la cooperazione pensata da Spinelli e Rossi.
Quello che occorre oggi è un altro Manifesto di Ventotene in cui si proclami, questa volta, l'uscita dall'Eurozona dei vari stati membri in modo tale che ciascuna nazione si riappropri della sovranità politica, economica ed anche territoriale. Ogni stato ha diritto alle proprie frontiere, alla propria politica, a, giustamente direi, propri interessi economici e soprattutto deve rispondere al popolo e al popolo solamente e non a banchieri di Bruxelles. Prerogative che possono entrare a pieno titolo sotto il lemma di Libertà. L'Europa va ripensata come fecero Spinelli e Rossi nel '41, i quali di certo non avevano le medesime idee politiche, ma su una cosa erano assolutamente d'accordo: la salvezza del continente. L'Europa deve tornare a essere quel mosaico di culture, tradizioni e civiltà che è stato troppo a lungo coperto dal grigiore della finanza e delle banche. Solo così potremo godere nuovamente di quella beethoveniana gioia: bella scintilla divina, figlia degli Elisei.


(Pubblicato originariamente sul numero 0 della rivista "La Voce del Padrone")

Uccidersi per un ideale


di Simone Mela

Immagino che tutti voi sappiate chi sia Catone l'Uticense. Uomo politico romano, si schierò dalla parte di Pompeo durante la guerra civile. Fiero sostenitore dei valori repubblicani e convintissimo anticesariano si uccise nel 46 a.C. ad Utica, città africana a nord di Cartagine, dove gli ultimi resti dell'esercito pompeiano tentavano l'estrema resistenza contro Cesare. Catone, quindi, con il suo gesto esasperato ha dichiarato a tutto il mondo romano di non sottostare al dominio di Cesare, perfetta antitesi di tutti gli ideali repubblicani. L'Uticense si è fatto testimone di un totale raggiungimento di libertà tanto che Dante nel primo canto del Purgatorio scriverà "libertà va cercando, ch'è sì cara,/come sa chi per lei vita rifiuta./Tu 'l sai, ché non ti fu per lei amara/in Utica la morte, ove lasciasti/la vesta ch'al gran dì sarà sì chiara." Catone, insomma, ha anteposto la libertà alla vita stessa assurgendo a esempio immortale che la Storia può vantare di ricordare. Ma se ora vi chiedessi di trovarmi un Catone dei nostri tempi, un uomo che per i suoi ideali, giusti o sbagliati che siano, è arrivato, come l'Uticense, all'atto estremo del suicidio? A me è venuto in mente lo storico e saggista francese Dominque Venner. «Serviranno certamente gesti nuovi, spettacolari e simbolici per scuotere i sonnolenti, le coscienze anestetizzate e risvegliare la memoria delle nostre origini». Così scrisse il 21 maggio 2013 sul suo blog poche ore prima di entrare nella cattedrale di Notre-Dame, raggiungere l'altare maggiore e spararsi un colpo di pistola in bocca. La sua indignazione era dovuta alla legge per il matrimonio fra persone dello stesso sesso, legge che era stata approvata da poco dal presidente Hollande, e il crescente peso demografico degli immigrati musulmani. Venner sentiva che stavano venendo meno due pilastri dell'identità storica e culturale francese, quell'identità tanto preziosa a Dominique. Il suo suicidio ha rappresentato l'impotenza di fronte a un processo storico e il fatto che abbia scelto come luogo in cui togliersi la vita proprio Notre-Dame la dice lunga su tutto ciò. «È qui e ora che si gioca il nostro destino fino all’ultimo secondo», ha lasciato scritto. «E questo ultimo secondo ha tanta importanza quanto tutto il resto della vita. È per questo che occorre essere se stessi fino all’ultimo istante». In quest'epoca vile Dominque Venner ci ha reso in qualche modo dei privilegiati perchè ci ha donato la possibilità di contemplare qualcosa di raro: un fulgido esempio. In un'era in cui si protesta con un tweet o con un commento su facebook, un uomo ha deciso che l'unica protesta possibile per la sua Francia e per i suoi Francesi fosse il suicidio. Non voglio, ora, sollevare una questione sul motivo e quindi sugli ideali che hanno spinto lo storico a un atto così eversivo. Gli ideali possono essere condivisibili o non, ma difenderli e difenderli fino alla morte, fino a sentirsi soffocati in una società che non sentiamo più nostra: questo dovrebbe essere l'imperativo morale. Gesti simili, se magari all'epoca della seconda guerra civile romana se ne potevano vedere, forse, in maggiori quantità, oggi sono più unici che rari. Gesti simili nel bene o nel male lasciano un'impronta indelebile e vanno a scrivere quella che comunemente noi tutti chiamiamo Storia. Il repubblicano Catone e il nazionalista Venner sono stati oltre che due suicidi politici due disperati e fieri paladini delle proprie idee.
(Pubblicato originariamente sul numero 0 della rivista "La Voce del Padrone")

Il Quadrato: Cammello


di Mauro Cuomo

Camminavo pensando, come mio solito, al passato, presente e futuro; il mio passato, presente e futuro, certo, ma anche quello del mio vicino che ascoltava non so quanto coscientemente. Il passato, presente e futuro di tutti insomma. 
Il sassolino nella scarpa fu L’uomo (senza escludere il me stesso), il vivere secondo Queste leggi, Questi costumi, Questi consumi. E dato che prova soddisfazione ai più trovare un appoggio stimato, andai a trovare Federico e abbandonai per un momento il mio compagno in delirio. Subito trovò la risposta (tipo astuto Federico): inizio a parlare di Cammelli, Leoni e Fanciullini. Continuava, nonostante la mia irresolutezza nel disquisire, a dire che in questo presente ci sono troppi Cammelli e che io, nel venire da lui, fui Leone... “Abbiamo perso qualcosa di atavico!”, urlava. Approfittai di un momento di lucidità per domandare, quindi azzardai: “e chi sono mai questi Fanciullini?”. Rise, iniziò a saltare e a fare piroette. Mi guardava con quei suoi occhi mentre faceva danzare quel baffo a spazzola che teneva così caro.
 (Pubblicato originariamente sul numero 0 della rivista "La Voce del Padrone)

La Repubblica indipendente e sovrana del West Eastern Divan


di Mauro Cuomo

“Vecchio testamento, nuovo e corano sono fonti di saggezza infinita se analizzate con una prospettiva indipendente e antidogmatica”.
La saggezza dell’arte combatte ogni sorta di pregiudizio ed estremismo. Daniel Barenboim ed Edward Said incarnano il modello di tale virtù: il primo è un pianista e direttore d’orchestra israelo argentino, ex bacchetta della Chicago Symphony, dell’Orchestre de Paris ed attuale direttore dell’opera di Stato di Berlino e della Scala di Milano; il suo collega d’arte è uno scrittore e docente universitario palestinese autore di saggi sull’Orientalismo e non solo.
Nel 1999, a Weiman, i due decisero di fondare un’orchestra sinfonica particolare, la West Eastern Divan Orchestra. Con l’intento di riunire giovani musicisti israeliani, palestinesi, siriani, medio orientali in generale ed europei, l’obiettivo è quello di trasmettere un messaggio di pace attraverso la musica e la filosofia orchestrale (Il pensiero di Barenboim ricostruibile dai suoi scritti “La musica sveglia il tempo” e “La Musica è un tutto. Tra etica ed estetica” giustifica l’alto ambire di tale progetto). L’orchestra, in musica, è un organico mosso da singoli individui che hanno un’esigenza comune. Come tali, i membri di un’orchestra ricoprono diversi ruoli e tutti soggiaciono a delle responsabilità: l’accettazione del sistema gerarchico della musica stessa è un esempio, tant’è che il pianista ci dice proprio che “l’accettazione della liberà e dell’individualità dell’altro è una delle lezioni più importanti che la musica ci impartisce”, cosa da considerare in un contesto atipico come quello della West Eastern Divan. Quindi dal momento che indifferenza e musica non possono coesistere, tanto meno in un progetto simile, prerogativa prima diventa l’ascolto reciproco e la conoscenza dell’altro.
I due intellettuali ci offrono un modello di stato laico, armonico-pitagorico e produttivo: alla base vi è onestà, moralità e un mosaico culturale cosciente . Cosciente del proprio ruolo, dei propri diritti e delle proprie responsabilità. L’uno dell’altro. Barenboim richiama all’ordine l’equilibrio fra intelletto, emozione e carattere per esportarlo fuori la sua orchestra. Offre una visione antidogmatica e indipendente delle sacre scritture come opportunità per cogliere il loro vero insegnamento.
La West Eastern Orchestra ha vissuto il conflitto israelo-pelestinese in prima persona: nel 2005 (ad un anno dalla guerra del Libano) si sono esibiti a Ramallah, in Palestina, superarono ostacoli burocratici ed esponendosi ad un rischio reale, palpabile.
Oggi più che mai l’orchestra si fa baluardo di una morale alla deriva e di valori oramai troppo lontani. L’azione di queste menti dona speranza.
“Equal in Music”

(Pubblicato originariamente sul numero 0 della rivista "La Voce del Padrone")

Il pitbull tedesco è in realtà uno shih tzu


di Valerio D'Agostini

Europa, 2015. Agli occhi di tutto il continente Europeo il leader politico ed economico indiscusso, la cosiddetta "locomotiva d'Europa", è la Germania.
C'è da dire però che, almeno sul piano macroeconomico, questo Paese non sia proprio un buon esempio da proporre al resto del mondo come guida europea, intanto perché il suo tasso di crescita del Pil è stato sempre sul medio-basso, circa 1,6% lo scorso anno e 1,62% per il tasso annuale del 2015, dati positivi ma non certo degni di un Paese leader (il Regno Unito ha fatto un +2,6% lo scorso anno e un +2,7% per il tasso annuale di quest'anno mentre l'Italia un +0.5% nello stesso periodo), poi perché, nonostante abbia un tasso di disoccupazione al 4,9%, moltissimi dei contratti lavorativi sono part-time, a stipendi da miseria stagnanti da 10 anni e senza le tutele sociali che invece avevano le generazioni precedenti, ed è per questo che la proporzione tedesca di lavoratori sottopagati a fronte del reddito medio nazionale è la più alta d'Europa.
Ma lasciamo stare per un momento i dati (e i trucchi a livello di quadratura del bilancio, vedi KFW) e analizziamo, invece, l'economia reale, cioè quella davvero vissuta dal cittadino medio. Si è detto che la Germania ha la proporzione più alta in Europa di lavoratori sottopagati su reddito medio nazionale e questo lo si può infatti riscontrare nella vita di tutti i giorni, e chi è andato in Germania potrà sicuramente confermare: il tedesco medio spende quasi tutto ciò che guadagna, ed è per questo che i risparmi delle famiglie sono tra i più bassi di tutta Europa, e non è un caso se di turisti tedeschi se ne vedano sempre meno in giro per i Paesi Europei, al contrario di quelli italiani, spagnoli o francesi che, almeno secondo i mezzi di informazione convenzionali, dovrebbero essere quelli più colpiti dalla crisi economica. La differenza sta nella ricchezza reale di questi Paesi, cioè mentre questi ultimi hanno un Governo povero ma cittadini sostanzialmente ricchi, la Germania ha un Governo molto ricco e cittadini sostanzialmente "poveri".
È il caso, quindi, di smetterla di avere la Germania come modello economico da seguire, perché la sua immagine che propone al mondo, e in special modo all'Europa, è quella di un pitbull, ma in realtà si tratta di uno shih tzu, un "cane-leone", ma piccolo di taglia.

Fonti: tradingeconomics
(Articolo pubblicato originariamente sul numero 0 della rivista "La Voce del Padrone")

Oeconomia instrumentum regni


di Vincenzo Cerulli

“[…] il PIL misura tutto, tranne quello che rende la vita degna di essere vissuta” - Robert Kennedy 18 Marzo 1968
Dato l’argomento estratto dalla citazione e il contesto storico cui appartiene ci appare subito un quadro ben definito. Gli U.S.A., potenza vincitrice della II guerra mondiale e locomotiva economica di tutto il mondo occidentale, si trovavano a quel tempo (1968) ad un bivio molto più esistenziale che socio-politico od economico. La questione era più o meno questa: continuare a correre follemente verso la mostruosa crescita economica (con l’illusoria pretesa di crescere sempre di più), con tutto quello che ne consegue (ciò che stiamo vivendo oggi in assenza di uno Stato garante per i cittadini) o fermarsi a riflettere sulla propria coscienza nazionale ed individuale. Forse i ragazzi che, quantomeno, provarono a ribellarsi a quel sistema (che poi si rifletteva in tutta Europa) si chiedevano se fosse giusto bombardare il resto del mondo per avere il proprio orticello curato e le vetrine dei propri negozi sempre pulite.
Paolo Barnard mi ha insegnato che il PIL è: “tutto quello che il paese produce più quello che importa meno quello che esporta”. In questa operazione è però assente l’uomo, l’individuo membro di una collettività formata da pari. Come può l’uomo beneficiare dell’operazione di cui sopra se non vi è ridistribuzione di quei beni prodotti? Può certamente capitare che vi sia un paese con il più elevato PIL del mondo, ma se questa ricchezza viene spartita egoisticamente fra un centinaio di famiglie e il resto del paese è affamato, questo paese non è degno di essere chiamato Stato. La sua influenza si limiterà ad un contesto geografico e topografico, la sua vita Nazionale sarà circoscritta alle valutazione che le agenzie di rating daranno alle sue banche. Ecco, questa è “l’italia” oggi, una provincetta senza alcuna pretesa storica, il cui unico imperativo categorico è il pareggio di bilancio, far quadrare i conti, fare i compiti a casa, e farseli correggere dai “professori” di Bruxelles, Strasburgo e Francoforte. Siamo completamente immersi nel “cretinismo economico” gramsciano; per citare Ezra Pound, invece, dovremmo pensare che dopo i Re, dovrebbero essere i banchieri a perdere la testa.
C’è stato però un uomo, nel ‘900, che ha provato a rivoltare dall’interno il sistema capitalistico mondiale e, nei suoi scritti, c’è riuscito: il suono nome è John Maynard Keynes. Per il mio modestissimo parere il suo sforzo è paragonabile a quello del “più grande fra tutti i Greci”: Epicuro. Quest’ultimo infatti riuscì ad abbattere gli idoli statici dell’Olimpo, la superstizione religiosa, la cieca venerazione politeista del suo tempo. Keynes fece questo con l’economia. Nel sistema capitalistico mondiale non c’è spazio né per l’uomo né tantomeno per lo stato che lo dovrebbe difendere: per questo gli economisti vengono carezzati con mani di rosa e venerati come feticci.. Se penso agli economisti di oggi infatti mi vengono in mente gli antichi sacerdoti della Roma monarchica o la Pizia di Delfi: dalla loro bocca viene deciso quanto uno Stato possa spendere per la nostra sanità, per la nostra istruzione, per coltivare la nostra terra, quando è necessario fare la guerra e contro chi, se appoggiare un tale popolo in un conflitto armato piuttosto che un altro. I loro discorsi, oggi, sono caratterizzati da un’aurea profetico-sacrale inaccessibile ai più: chiunque provi a smascherare razionalmente le sfingi che ci presentano come assiomi viene accusato di complottismo. Così, come a Roma si paralizzava la vita pubblica per un presagio nefasto, così in Italia si passa da un Presidente del Consiglio all’altro, senza chiedere nulla a noi popolino, perché così vuole la Troika, perché così dice lo Spread, perché così vogliono i monitor di Wall Street. Secondo Keynes agli economisti andava dato il posto che gli spetta. “Guardiamoci dal sopravvalutare l’importanza del problema economico o di sacrificare alle sue attuali necessità altre questioni di maggiore e più duratura importanza. Dovrebbe essere un problema da specialisti, come la cura dei denti. Se gli economisti riuscissero a farsi considerare gente umile, di competenza specifica, sul piano dei dentisti, sarebbe meraviglioso” (J.M. Keynes "La fine del laissez-faire ed altri scritti"). Dunque, oggi, vanno posti accanto agli avvocati e agli insegnanti, come una categoria specializzata. Non devono assolutamente più essere la categoria dominante e caratterizzante della società; invece oggi è così; i politici invece sono solo maschere, sono il braccio armato degli economisti. L’occidente non ha più una guida spirituale, un’alternativa metafisica alla quotidianità proprio perché ci basta la quotidianità. L’unica via semplice per uscirne è l’etere televisivo, che oggi è il più grande mezzo di riproduzione dei dogmi economici. Non guardiamo il cielo perché ci spaventa, ci rifugiamo nelle placide preghiere della BCE riguardo le riforme del nostro paese. Per questo, oggi, possiamo affermare che la religione (qui intesa come rifugio dal cieco calcolo figlio del positvismo scientifico ed anfora del sacro) ha ceduto il posto all’economia, il trascendente all’immanente, le prospettive nazionali al reddito mensile, l’Esistenza alla sopravvivenza. Il nostro sguardo non è più coraggioso, non osa guardare oltre l’orizzonte.

(Pubblicato originariamente sul numero 0 della rivista "La voce del Padrone")