sabato 14 novembre 2015

Parigi, 13 Novembre. Ci risiamo!


di Simone Mela
Avete presente quando nel bel mezzo della notte state facendo un incubo e vi svegliate di colpo, realizzando alla fine che era solamente un brutto sogno? Ecco. A me sembra che succeda questo in Europa ogniqualvolta ci si imbatta in atti terroristici di matrice islamica. Ci svegliamo per qualche giorno, o settimana al massimo, attivandoci subito (sui social si intende). Diventiamo tutti crociati del terzo millennio con i vari #prayforParis, ci si cambia addirittura l’immagine del profilo Facebook con i colori della bandiera francese, tutte le capitali occidentali più importanti si tingono di blu,bianco e rosso. Le stesse capitali di quei paesi che magari hanno foraggiato tutto questo. Dopo avvenimenti (chiamiamoli così) di questo genere al primo posto va sicuramente il cordoglio per gli innocenti che non c’entravano assolutamente nulla; unito al cordoglio, se vogliamo, possiamo metterci lo sgomento generale per barbarie simili. Ma dopo cordoglio e indignazione la solidarietà non basta, a mio avviso. Bisogna che ognuno nel suo piccolo, prima che ci sia il pericolo di leggere commenti che provocano solo conati, ricerchi le cause di questi massacri.Non è buttando giù moschee o fomentando l’odio alla Oriana Fallaci, come sto leggendo in queste ore, che si potrà risolvere qualcosa. Non possiamo continuare a fare finta di niente, non possiamo più piangere dei morti per scelte politiche sbagliate. Sì, scelte politiche sbagliate. Tanto per fare qualche nome, il presidente francese Hollande chi sta appoggiando in Siria? Chi sta finanziando? Gli unici che stanno cercando di combattere l’Isis sono l’esercito regolare siriano coadiuvato dai soldati russi di Putin e il movimento politico libanese Hezbollah. Contro quest'ultimo proprio due giorni fa lo stato islamico ha provocato 43 morti e 240 feriti, (ne avete sentito parlare in tv? io no). Ritornando alla Francia, a me non sembra proprio che Hollande abbia dato una mano ad Assad e Putin, anzi ha sostenuto i ribelli ,alcuni dei quali tornati in Europa sono diventati a tutti gli effetti delle mine vaganti. Sarkozy nel 2011 cosa è andato a fare in Libia? A esportare democrazia o a destabilizzare un paese ? In Libia ora ci sono due governi in confitto tra loro ed è inevitabile che, spaventati dal clima di guerra, sempre più libici partano alla volta dell’Europa. Lo stesso Gheddafi aveva detto :<<Se ci minacciate, se ci destabilizzerete, ci sarà confusione. Questo è ciò che accadrà. Avrete l’immigrazione, migliaia di persone invaderanno l’Europa dalla Libia>>. Detto fatto. La Francia come altri paesi occidentali, USA in primis, ha finanziato gli stessi terroristi dell’Isis che ora brindano sul sangue versato di ieri sera. Perché non smettere di finanziarli e combatterli? Vi ho messo nell’orecchio queste pulci e se avete veramente a cuore l’Europa e volete prendere a calci i terroristi e il terrorismo, non dico di partire per la Siria per combatterli,( potete continuare a stare dietro un computer, come me del resto) ma almeno cercate di capire chi è il vero nemico e da chi è stato finanziato. Non do nessuna risposta anche perché, data l’estrema complessità geopolitica, credo di non esserne all’altezza; ma il quadro generale penso di averlo capito, penso di aver capito che l’Isis sia un prodotto occidentale usato per rovesciare governi legittimi in medio oriente. Quindi se volete fare qualche riflessione critica ricercando le cause, andando a fondo di tutta questa storia sarò ben felice di aver smosso qualche coscienza e di non essere l'unico complottista, altrimenti, una volta appreso che è stato un incubo, potete rimettervi a letto e dormire. Almeno fino al prossimo attacco terroristico.
Per chi si volesse informare seriamente consiglio il blog di Sebastiano Caputo, Claudio Messora e Giulietto Chiesa.

giovedì 12 novembre 2015

AAA Olio d'oliva italiano cercasi


di Gianluca Boanelli

Ogni abitante della penisola che si rispetti è inevitabilmente portato, in qualsiasi discussione svolta sul Bel paese, a tirare in ballo l’eccellenza della cucina italiana, soprattutto nel contesto attuale in cui oggettivamente sembra emergere con forza come una sorta di “scialuppa di salvataggio” della ormai naufragata economia italiana. Eppure ci troviamo, ahimè, a dover prestare attenzione al nostro piatto che tanto difendiamo in quanto, sempre più spesso, quello che sembra tricolore sostanzialmente potrebbe non esserlo.
La bufera sull’olio d’oliva scatenatasi proprio nel pieno della stagione, periodo in cui la filiera produttiva affronta i maggiori costi, è stata subito inserita tra le tante frodi di commercio nel settore alimentare italiano anche se, non me ne vogliano gli esterofili, l’Italia questa volta c’entra ben poco.
La testata di tutela dei consumatori, che aveva preso in considerazione a maggio 20 bottiglie di olio extravergine declassandone ben 9 a olio vergine per la presenza di difetti organolettici, ha aperto gli occhi del consumatore sull’operato di grandi marchi quali Carapelli, Bertolli, Sasso, Santa Sabina, Primadonna, Coricelli e Antica Badia. Ebbene prendendo in considerazione tali aziende delle tradizione italiana ci troviamo ormai a parlare spesso di marchi nostrani i quali tuttavia sono sottoposti da anni all’egemonia spagnola nel settore. Le due realtà più grandi che sono coinvolte nello scandalo, entrambe storiche aziende toscane, fanno parte, rispettivamente dal 2006 al 2008, del grande gruppo Sos Corporatiòn alimentaria (1,5 miliardi di euro di fatturato), fondo alimentare che controlla quasi il 50% del mercato mondiale di olio tra Spagna, Italia, Portogallo. Nonostante l’Italia rimanga il secondo player nel settore la politica di internazionalizzazione ha fatto sì che oggi nello stivale si importi più che in ogni altro paese al mondo olio d’oliva, olio ovviamente spagnolo ma anche tunisino. Da tale elemento è facile comprendere come al di sotto del Brand italiano di prestigio internazionale si nasconda poi in verità una miscela di oli con cui si cerca di sfruttare l’italianità in ottica di marketing e il basso costo dell’olio base importato, il tutto per aumentare il margine di profitto. Tuttavia la campagna produttiva del 2014, anno tra i peggiori di sempre, ha incentivato tale tipologia di approccio alla produzione, un approccio non additabile storicamente a livello strategico all’Italia, la quale è stata indirettamente coinvolta nel nuovo modo di fare business viste le difficoltà competitive della piccola e media imprese italiana con le grandi controparti internazionali. Le nostra aziende piuttosto si ritrovano a dover tutelare i proprio consumatori come stakeholder esterni e ovviamente la propria reputazione in via diretta. Anche la coldiretti è intervenuta affermando la necessità di intensificare i controlli visto l’aumento di frodi data la scarsità della produzione nell’anno passato, richiamando l’attenzione sui dati dell’import che possono in tale caso essere interpretati come un “campanello d’allarme”. Ancora una volta dunque ci troviamo a dover discutere sulla bontà delle scelte operate in passato a livello nazionale verso un’industria alimentare di massa, quando invece la nicchia di mercato sembra essere il segreto del nostro valore in questo settore (quasi il 50% degli italiano acquista almeno un DOP o un IGP almeno una volta alla settimana nonostante la crisi).
Con fiducia nelle parole del ministro delle politiche agricole Martina, che ha ribadito la rilevanza strategica del settore per l’Italia, la speranza è quella di non doverci accontentare in futuro della quanto mai realistica visione di Gianni Monduzzi sull’evoluzione del settore.
<<Una buona casa olearia passa i primi anni a spremere buone olive per farsi un buon nome. Poi trova più vantaggioso spremere il buon nome>>.
Fonte: www.Ilsole24ore.com

lunedì 2 novembre 2015

Pasolini: l’eretico violentato.


di Vincenzo Cerulli

Avete presente il senso del grottesco? Adesso vi faccio un esempio che sta disturbando non poco la mia coscienza. Proprio in questi giorni (1,2,3 novembre), presso il museo criminologico di Roma sarà possibile osservare tutti gli effetti che Pier Paolo Pasolini aveva con se’ la notte di quarant’anni fa, quando venne ammazzato come un cane. Tra di essi vi sono i suoi documenti, i suoi occhiali, dei libri e persino due assi di legno utilizzate per colpirlo. La versione ufficiale del ministero della giustizia afferma che: “ La scelta di non esporre i reperti in tutti questi anni è stata dettata dalla volontà di rispettare la figura del grande intellettuale e l'importante contributo che Pasolini ha dato alla vita culturale, artistica e politica del Paese”.
Ora io mi domando se si possa stabilire un limite di tempo netto alla discrezione e l’ossequio che vanno riservati ai morti, questione ancora più grave e delicata nel tormentato caso Pasolini. Alla reverenza che andrebbe riservata ad un intellettuale profetico come Pasolini la nostra società preferisce la necrofilia, ed io, purtroppo, ne intuisco facilmente il motivo.
Uno dei tratti più fortemente riconoscibili in Pasolini era il suo “essere eretico”, ogni intervista, ogni film, ogni libro o poesia era a suo modo eretica: in ogni eresia permane però la dimensione del sacro, del religioso, se non altro come momento antitetico da superare. La nostra società invece, per quanto sia più permissiva e laida di quella in cui operava e viveva il Poeta, non è quasi mai luogo di eresie: qualsiasi manifestazione artistica, per quanto possa tendere in quella direzione, non avrà mai l’aurea di eresia in cui era immerso Pasolini ad ogni passo, proprio perché non muove da un substrato di sacralità (o quantomeno di non riconducibile interamente al quotidiano).
Ecco come ammansire Pasolini, come accalappiarne il cadavere la cui eco ancora fa tremare. Si organizza una mostra con quello che in vita indossò e sfogliò quotidianamente (libri e vestiti), assieme alle assi di legno con cui è stato bastonato e il gioco è fatto: la società civile ha versato il suo contributo culturale all’altare del grottesco e Pasolini viene violentato nuovamente sotto il patrocinio delle istituzioni politiche. A commentare la vicenda mi viene alla mente un’immagine terribile: è come se gli italiani, non ancora pronti ad accogliere Pasolini, ma costretti dai quarant’anni passati dalla sua morte a dimostrare il contrario, esponessero le sue viscere nella pubblica piazza senza togliersi i guanti che si usano per i cadaveri che puzzano di più. Triste destino quello riservato al Poeta, che non trova pace nemmeno da morto. Un altro pubblico insulto riservato post mortem al Poeta fu quello di pubblicare le foto (su l’Espresso del Febbraio 1979) del suo corpo massacrato da bastoni e pneumatici senza che nessuna istituzione politica alzò un dito; ciò invece non accadde quando pubblicarono le foto del cadavere di Moro, a seguito di questa fuga di foto fu aperta un’inchiesta e i colpevoli vennero puniti. Queste manifestazioni contemporanee del grottesco ci dovrebbero insegnare una grande lezione: se come popolo non siamo ancora in grado di rendere a Pasolini l’onore e la memoria che merita è meglio lasciarlo morto. Lasciamolo riposare in pace. Perché ci affolliamo sopra la sua tomba tutti insieme? Perché una folla rumorosa e volgare come la nostra si riunisce goffamente per mostrare pubblicamente il proprio sdegno? Perché non andiamo privatamente, uno ad uno ad offrire i nostri fiori e la nostra giovinezza alla tomba del Poeta? Io so perché. Perché nella nostra società l’eresia è scaduta nel becero scandalo da prima pagina e così un pubblico insulto alla Sua figura viene interpretato come un omaggio alla sua memoria.
Caro Pier Paolo, almeno tu che puoi, dimenticaci.