di Vincenzo Cerulli
Elaborato della tesina per un esame di laurea triennale sullo Zarathustra di Friedrich Nietzsche.
<<Perché
così parla a me la giustizia: “gli uomini non sono eguali”.>> (Così parlò
Zarathustra – Adelphi pag.113)
Questa frase
è pronunciata da Zarathustra nel capitolo ‘delle tarantole’ ed al suo interno
vi è concentrata buona parte del pensiero politico di Friedrich Nietzsche. Per
il filosofo di Rocken la vita, in quanto volontà di potenza, è continuo e
perenne auto-superamento di se stessa, gerarchia, è conflitto e guerra, diseguaglianza,
differenza ed elevazione: per questo non accetta che venga limitata in forme
prestabilite e già sempre fissate. La figura della tarantola metaforicamente
rappresenta il tipo politico del progressista, figlio dell’epoca dei “lumi”,
fedele nel progresso dell’umanità viene descritta come affascinata e promotrice
della volontà di uguaglianza, che per Nietzsche è la suprema realizzazione del
cristianesimo di derivazione paolina. Paolo di Tarso infatti con la rivolta
degli schiavi ha ribaltato l’impero romano, il più grande impero che gli uomini
abbiano mai conosciuto. La volontà di uguaglianza è lotta contro la potenza,
lotta contro la vita, la volontà di essere tutti uguali deriva dal sentimento
di vendetta e gelosia nei confronti del più forte, del ‘signore’: per questo il
cristianesimo di Paolo è l’ideologia fondamentale del nichilismo. Alla morte di
Cristo i suoi discepoli, guidati da Paolo, hanno negato quello che il profeta
aveva predicato in vita: in primo luogo il concetto di “offrire l’altra
guancia”. I cristiani alla morte della loro guida sono caduti nel risentimento,
hanno provato odio e desiderato vendetta contro la figura del ‘signore’ romano,
in questo modo hanno fatto crollare un impero, fattisi portavoce
dell’uguaglianza planetaria hanno colpito a morte chi non accettava la loro
volontà (l’impero pagano prima e gli eretici pagani dopo). Qui sta il vulnus
degli ‘ideali egualitari’: Nietzsche critica proprio il fatto che chi li
professa nasconda la propria volontà di comandare dietro una fumosa giustizia
oggettiva. <<Se il sofferente, l’oppresso perdesse la fede di avere il
diritto di disprezzare la volontà di potenza, entrerebbe nello stadio della più
nera disperazione. Ciò avverrebbe se questo carattere fosse essenziale alla
vita, se risultasse che anche in quella “volontà di morale” è camuffata solo
questa “volontà di potenza”, che anche quell’odio e quel disprezzo è ancora una
volontà di potenza. L’oppresso capirebbe di stare con l’oppressore ‘sullo
stesso piano’ e di non avere un ‘diritto migliore’, un ‘rango superiore’
rispetto all’altro.>> (KSA 12, OFN VIII, I) Questa “cattiva coscienza”, o
ipocrisia di fondo, che troviamo nella volontà di uguaglianza (che altro non è
che volontà di potenza camuffata) viene descritta ancor meglio da Nietzsche in
un passo in cui delinea una dialettica simile a quella servo-padrone in cui l’influenza
di Hegel è palese: <<Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho
anche trovato volontà di potenza; e anche nella volontà di colui che serve ho
trovato la volontà di essere padrone. Il debole è indotto dalla sua volontà a
servire il forte, volendo egli dominare su ciò che è ancora più debole: a
questo piacere, però, non sa rinunciare. E come il piccolo si dà al grande, per
avere diletto e potenza sull’ancor più piccolo: così anche ciò che è più grande
dà se stesso e, per amore della potenza, mette a repentaglio - la vita>>
(Così parlò Zarathustra pag.130,131 Della vittoria su se stessi). Con Nietzsche
allora ci chiediamo: <<è giusto che il servo valga quanto il padrone, è
giusto che “chi non ha rischiato la propria vita”(Hegel) abbia tanto potere di
incidere sulla realtà quanto chi ha rischiato tutto?>>. La risposta di
Nietzsche è assolutamente negativa e la possiamo in parte scorgere in questo
passo: <<Perché gli uomini non sono eguali: così parla la giustizia. E a
loro (qui con particolare riferimento ai ‘dotti’) non dovrebbe essere lecito
volere ciò che io voglio>>.(Così parlò Zarathustra pag.145 Dei dotti) Qui
il filosofo è chiarissimo, si delinea una gerarchia netta fra chi serve e chi
comanda ed il primo non ha “diritto a volere” quanto il secondo.
La volontà di uguaglianza si manifesta
politicamente attraverso la democratizzazione di ogni spazio della vita
associata; per Zarathustra però questa volontà di uguaglianza non è altro che
la massima realizzazione del nichilismo ed in quanto tale negazione della vita.
Per Nietzsche una società, un’epoca più
in generale, si può definire ‘sana’ ed in forze solo se permane quella
gerarchia che da sempre contraddistingue la storia degli uomini. L’impero
romano è stato grande proprio perché comandato da ‘signori’ e non da servi, o
da “servi eletti”, scelti dal popolo. Nietzsche troverà questa ‘forza’, questa
‘salute’, questa ‘postura eroica’ nei confronti della vita anche nel
Rinascimento italiano: <<Le epoche forti, le culture nobili vedono
qualcosa di spregevole nella compassione, nell’amore del prossimo, nella
mancanza di sé e di sentimento di sé. – Le epoche sono da misurarsi secondo le
loro ‘forze positive’ – e così ne risulta che quell’epoca così prodiga e fatale
del Rinascimento fu l’ultima grande epoca, e noi, noi moderni con la nostra
ansiosa sollecitudine verso noi stessi e il nostro amore del prossimo, con le
nostre virtù del lavoro, della modestia, della legalità, della scientificità –
accumulatori, economici, macchinali – siamo un’epoca ‘debole’… Le nostre virtù
sono condizionate, sono ‘provocate’ dalla nostra debolezza.>>(GD
Scorribande di un inattuale 37) All’origine della volontà di uguaglianza c’è
l’invidia verso chi possiede volontà di potenza: per questo la morale degli
schiavi, la morale cristiana, è giudicata da Nietzsche come una morale del ‘ressentiment’,
una morale contro-natura. <<Nell’imporre un unico standard e un’unica
condotta per tutti, nel trascurare la distinzione e la differenza – soprattutto
in senso gerarchico – “la morale come contro-natura, cioè quasi ogni morale
finora insegnata, venerata e predicata, si rivolge al contrario contro gli
istinti della vita, – essa è una condanna ora segreta, ora rumorosa e sfacciata
di questi istinti”(GD Morale come contro-natura 4). E’ in realtà immorale dire:
“Quel che è giusto per uno deve essere giusto per l’altro”(JGB 221)>>(Chiara
Piazzesi – Nietzsche pag.151). Dunque la critica raggiunge un senso ontologico
nel momento in cui democratizzazione ed uguaglianza, passando per il
cristianesimo, vengono ricondotte perfettamente al nichilismo.
Alla figura
della tarantola Nietzsche oppone in maniera speculare la figura della “scimmia
di Zarathustra” nel capitolo ‘del passare oltre’. Questo “pazzo furioso”
infatti è la rappresentazione poetica della figura del reazionario. La “scimmia”
ha in comune con Zarathustra l’insofferenza verso la modernità, il senso di
inadeguatezza esistenziale verso la propria epoca; le loro proposte sono però
opposte. La scimmia vuole “tornare indietro”, sente la mancanza dei vecchi
valori, della metafisica, della figura rasserenatrice di Dio e per questo tenta
una sorta di “restaurazione”; Zarathustra invece vuole “passare oltre” la
modernità attraverso la creazione di valori nuovi. I suoi modi e le sue pose
sono grottesche, i suoi discorsi sono brutte copie di quelli di Zarathustra, la
sua vita è una continua riesumazione di valori perduti per sempre. Se assumiamo
che “Dio è morto” la messa, il rito eucaristico, altro non è che farsa, messa
in scena: ecco, così è la vita della “scimmia”, una farsa. Prendendo in
prestito l’immagine delle “tre metamorfosi” potremmo anche dire che la “scimmia”,
dopo aver assistito alla vittoria del leone sul cammello-drago, senta una
vertigine profondissima, un horror vacui tremendo ed insopportabile nel vedersi
sola come “signore nel deserto”. Le sue spalle non sopportano il peso di quella
responsabilità destinale a cui è chiamata a rispondere: tra “le vecchie tavole
e nuove” vede il nulla e non ha il coraggio di superarlo con la creazione di
valori nuovi.
Qui c’è
probabilmente una differenza ontologica fra l’agire della “scimmia” e quello
della tarantola e Nietzsche sembra addurre un peso più grave a quello di
quest’ultima. Secondo le “tarantole” la modernità va ancor di più accelerata;
ma non superata nel modo di Nietzsche, non con un nuovo creare, non con
l’innocenza tragica a cui sarà destinato il fanciullo, bensì con l’uguaglianza
planetaria. Annullando tutte le differenze, le diversità, le gerarchie, non fanno
altro che imporre una gerarchia diversa, quella secondo la quale il forte deve
essere dominato dai deboli e deve essere anche punito per la sua potenza. Così parlano le tarantole dalle loro tane:
“Noi vogliamo esercitare la vendetta e l’oltraggio contro tutti coloro che non
sono eguali a noi”(Così parlò Zarathustra pag.111). Nietzsche identifica la volontà di eguaglianza
con il nichilismo, ci dice che proprio presso le “tarantole”, fra gli ideali
egualitari, ha trovato dimora: “Vogliono far male a quelli che ora hanno la
potenza: infatti, presso coloro trova miglior domicilio la predica della morte”(Ibidem
pag.113). Da qui deduciamo la gravità ontologica maggiore delle tarantole; di
contro le “scimmie” sono talmente spaesate nel deserto di valori da iniziare a
fingere che Dio non sia morto, (una sorta di psicosi?) non accettano la fine di
un’epoca e quindi non ne inaugurano una nuova. Riprendendo l’immagine delle
“tre metamorfosi” sembra quasi che le tarantole si trovino perfettamente a loro
agio nel deserto di valori, per loro il processo di metamorfosi dello spirito
si dovrebbe fermare al leone, non hanno bisogno di valori nuovi, non viene prospettato
un fanciullo futuro per “redimere” la modernità. La loro libertà si esaurisce
nell’essere “liberi da”, morto il drago non si chiedono “per cosa” sono libere
adesso. Probabilmente fanno corrispondere “valori nuovi” unicamente a “regole
nuove” e loro non ne vogliono sentir parlare, nemmeno se sono chiamati essi
stessi a scriverle. Ecco uno “schizzo” dell’epoca moderna, in cui la “libertà”
priva di responsabilità viene ridotta a liberalità, la liberazione alla
liberalizzazione.
I cuori di
tarantola hanno scambiato la possibilità della libertà più grande, quella cioè
di darsi valori nuovi autonomamente, con la misera sregolatezza offerta dal non
darsi nessun valore. Qui si compie una trasvalutazione dei valori, il “tu devi”
del cammello diventa “io voglio” ma questo “io voglio” non si decide
sull’oggetto del proprio volere e così la potenziale carica liberatrice della
volontà del leone si auto-estingue nell’atto del consumo sfrenato e sregolato,
la volontà di potenza si riduce ad obbedienza all’istinto. “Creo dunque sono”
direbbe il fanciullino annunciato da Zarathustra; “consumo dunque sono”
sibilano le tarantole in ogni dove, ecco la loro libertà, libertà di consumare.
Ora viene
spontaneo notare che nella nostra epoca in maggioranza assoluta sono le
tarantole, la fede nel progresso dell’umanità è incrollabile, persino dopo il
suicidio di intere generazioni in due guerre mondiali, persino dopo la bomba
atomica si continua ciecamente a credere in due parole chiave: “crescita e progresso”.
Si continua a ripetere che la “tecnica” è imparziale, oggettiva, e che sta
all’uomo forgiarla in base ad ideali di giustizia ed uguaglianza. Si ignora la
critica di Heidegger riguardo l’impossibilità dell’imparzialità della tecnica,
quindi si arriva presto a dire che la bomba atomica non era una male “in sé”,
che c’è sicuramente un modo “umano” per utilizzarla.
Qui sarebbe interessante
mettere in relazione la critica che Carl Schmitt opera sul concetto di “umanità”
con quella di Nietzsche su quello di “uguaglianza” , i due concetti vengono
spesso utilizzati assieme per giustificare oggettivamente interessi molto
soggettivi; purtroppo non si dispone dello spazio necessario.
Ricordiamo invece brevemente il nesso fra
“tecnica” ed “uguaglianza”. “Dio creò gli uomini diversi, Samuel Colt li rese
uguali”. Questa celebre frase segna il passaggio di un’epoca: questo passaggio
non riguarda unicamente il campo bellico. Avviene un rovesciamento talmente
importante da arrivare a toccare qualsiasi spazio della vita associata. Il
passaggio di cui parlo è quello per cui non conta più la preparazione militare,
l’allenamento, la forza, il coraggio o lo spirito necessario per un
combattimento corpo a corpo; tutto si riduce alla velocità di esecuzione, chi
arriva primo al grilletto vince (la situazione è portata oggi all’estremo con i
droni per i bombardamenti comandati a migliaia di chilometri di distanza). Gli
uomini vengono tutti portati allo stesso livello: il “coraggio”, cifra di
distinzione che permette a Zarathustra
di scrollarsi di dosso il “nano” (Ibidem pag.183 La visione e l’enigma), è
costretto a comparire sempre più raramente in una società perfettamente
meccanizzata. Da quella grande nazione che chiamiamo USA è partita, ancora
prima che con la rivoluzione francese, la “riscossa per l’uguaglianza”: questo
paese viene difatti preso a modello come esempio di democrazia e tutto quello
che succede lì (in campo economico, sociale, politico etc), in un breve periodo
si ripresenta anche qui nel vecchio continente. Sempre negli USA nascono quei
movimenti che Alain De Benoist nomina come portatori di un “femminismo
egualitario”, movimenti che ancor oggi foraggiano la “gender theory”, una
teoria “che non esiste”. Qui vi facciamo riferimento solo per far notare ancora
di più come la direzione verso cui sta precipitosamente correndo la nostra
società è quella dell’uguaglianza totale, l’uguaglianza figlia dell’assenza di
differenze e discrepanze: “A differenza del femminismo identitario o
differenzialista, che pone l’accento sulla differenza, la promozione o la
riscoperta del femminile, il femminismo egualitario sostiene che sarà possibile
raggiungere una vera parità fra uomini e donne solo quando nulla sarà più in
grado di distinguerli tra loro” (Alain De Benoist – Oltre l’uomo e la donna
Circolo Proudhon Edizioni, pag.6). Non possiamo esimerci dal cercare di trovare
i punti di raccordo fra le parole del pensatore francese e quelle di Nietzsche.
Quella di De Benoist è una bieca reazione o una seria critica nel solco del
filosofo della volontà di potenza? Così Nietzsche riguardo la ‘vita’: “E poiché
ha bisogno di altezza, ha bisogno anche dei gradini e della contraddizione tra
i gradini e coloro che salgono! Salire vuole la vita e salendo superare se
stessa”(Così parlò Zarathustra pag.113). Come può esserci ‘differenza’ in una
società in cui le categorie maschio/femmina, uomo/donna vengono meno? Viene qui
prospettata una società di individui neutri ed eguali, è forse queste la
naturale evoluzione dell’antropologia cristiana fondata da San Paolo, è forse
questo un passo avanti verso l’umanità unificata come “un solo gregge” del
Vangelo di Giovanni? Chiudiamo questa parentesi con le ultime parole del
pamphlet prima citato: “E’ il sogno di una postmodernità post-sessuale dove,
non essendo riusciti a creare una società senza classi ci si accontenterà di
una società senza sessi. Una società dove la ‘liberazione del desiderio’ non
consiste nella volontà di liberare il desiderio, bensì nel dovere di
liberarsene. Un sogno di indistinzione, un sogno di morte”. (Ibidem pag.33) Un
‘sogno di morte’, forse così Nietzsche vedeva i sogni di uguaglianza che già
nel suo secolo iniziavano a farsi strada attraverso le teorie socialiste. Chiara
Piazzesi sullo stesso argomento: <<… Nietzsche riconosce le idee
democratiche, il socialismo e perfino il femminismo come alcune delle più forti
tendenze “uniformatrici” della modernità, rivolte ad eliminare le differenze in
quanto disparità, a livellare la superiorità, ad “ammansire” ogni personalità
che non sia moralmente e socialmente addomesticata.>>(Carocci Editore –
Nietzsche pag.148) Quindi ora ci chiediamo: prospettiva estrema
quella di Nietzsche o profezia avveratasi? Credendo di costruire una società
giusta ne stiamo disegnando una senza gradini e senza differenza fra chi li
dovrebbe scalare; per questo per salire in alto ormai non possiamo far altro
che auto-superarci, “salire sul nostro capo”. “E se ormai ti sono venute a
mancare tutte le scale, bisogna che tu sappia salire sul tuo capo: come
potresti altrimenti salire in alto?” (Così parlò Zarathustra pag.178 Il
viandante)
Una società
“senza gradini” potremmo “abbozzarla” qui anche in un altro senso: una società
in cui chi 200 anni fa non sarebbe sopravvissuto per malformazioni genetiche,
deficit alla nascita o semplici malattie, oggi vive tranquillamente grazie a
piccole operazioni o semplici antibiotici. “Ai brutti tempi andati di rado
sopravviveva un bambino che avesse qualche spiccato, o lieve, difetto
ereditario. Oggi invece, grazie all'igiene, alla farmacologia moderna e alla
coscienza sociale, quasi tutti i bambini venuti al mondo giungono a maturità e
si moltiplicano. Date le condizioni oggi dominanti, ogni progresso della
medicina sarà frustrato da un corrispondente aumento del tasso di sopravvivenza
degli individui che dalla nascita portano con sé una qualche insufficienza
genetica.... Una società siffatta fino a quando potrà conservare le sue
tradizioni di libertà individuale e di governo democratico? Fra cinquanta o
cento anni i nostri bambini daranno una riposta a questa domanda.” (Aldous
Huxley – Ritorno al mondo nuovo, pag.247) Non si vuole in nessun modo dare
un’interpretazione biologistica del filosofo tedesco ma questa riflessione di
Huxley ci pone di fronte degli interrogativi capitali: se ciò accade dal punto
di vista biologico dal punto di vista “morale-filosofico” avviene lo stesso? Il
‘malato’ o ‘debole’ nello Zarathustra non è malato o debole fisicamente
(geneticamente), questa figura è descritta nel capitolo ‘Dei predicatori di
morte’ (pag.46.48). “Basta che incontrino un malato o un vegliardo o un
cadavere, perché dicano <<la vita è confutata!>>. Ma soltanto loro
sono confutati e il loro occhio, che dell’esistenza vede solo quell’un
volto”(Ibidem pag.46) I ‘malati’ sono coloro che dicono no alla vita, sono
quelli che predicano la morte in ogni dove ma non compiono mai l’estremo gesto
verso se stessi, sono anche quelli che non sopportano (tragen) il ‘pensiero più
abissale’, l’eterno ritorno. Qui si definisce un’altra gerarchia, sta “sopra”
chi sopporta quel peso, il ‘sano’, il ‘forte’ e sta “sotto” chi si dispera e
“si rovescia a terra digrignando i denti” (Gaia Scienza frammento 341). In
questa prospettiva l’ultimo uomo è ‘malato’, soffre l’eterno ritorno, non lo
sopporta e subisce la ‘dècadence’ senza riuscire a superare il nichilismo;
l’oltreuomo è invece il ‘forte’ che grazie al coraggio che mostra nel
sopportare “il peso più grande” si scrolla
di dosso il ‘nano’ e supera il nichilismo, lo sopporta, lo sostiene.