mercoledì 29 giugno 2016

Cortocircuito occidentale vol.3


di Vincenzo Cerulli

"Il sindacalista coglione fa più male all'operaio che al padrone"

Ma Landini quando capirà di stare dal lato sbagliato della storia?
Dice che l'UE "va cambiata", non dobbiamo uscirne, bisogna cambiarla dall'interno. Wow! Che lungimiranza, che presa di posizione coraggiosa! Nitidamente a favore degli operai, difatti è la stessa posizione difesa da famosi Kompagni moderni: Merkel, Hollande, Renzi, Padoan, Juncker, Di Maio, Monti etc etc
Quindi lui sarebbe quello buono e giusto rispetto alla Camusso...
Noi non vediamo differenza alcuna fra i due; piuttosto ridateci Antonio Labriola, Nicola Bombacci e Filippo Corridoni!!!

martedì 28 giugno 2016

L'Unione Europea dopo il Brexit


di Simone Mela

La vittoria del Leave come esito del referendum sulla Brexit dello scorso 23 giugno dà sicuramente un chiaro e forte segnale all’Unione Europea, incapace di far fronte ai problemi dei cittadini, generando da parte sua una disaffezione dalle istituzioni comunitarie via via sempre più grande.
Volendo aprire una parentesi è paradossale il fatto che si dica, in questi casi, che il singolo Stato nazionale non sia in grado di risolvere problemi globali quando è la stessa Ue a non avere saputo gestire problemi importanti come quello dei flussi migratori. Ma sarebbe anche un po’ grossolano e riduttivo legare il successo di coloro che hanno deciso di lasciare l’Ue con il tema dell’immigrazione, la quale come recentemente scritto dall’intellettuale francese Alain de Benoist è solamente la conseguenza e non la causa della forte mancanza di identità.
Questo successo euroscettico però ha acceso anche gli animi delle altre forze politiche europee che mostrano una forte avversione verso l’impianto eurocratico. Una entusiasta Marine Le Pen, leader del Front National, ha affermato che quella britannica è stata “una vittoria della libertà” e che ora, come chiede da anni, “serve lo stesso referendum anche in Francia” e negli altri paesi dell’Ue. Dall’Olanda, Geert Wilders, fondatore e capo del Partito per la Libertà (PVV), guarda con favore a un possibile abbandono dell’Ue da parte dei Paesi Bassi. “Ora è tempo di un nuovo inizio, se diventerò primo ministro, ci sarà referendum” – ha detto Wilders. Dichiarazioni di questo genere sono arrivate anche dal leader del Partito della Libertà Austriaco (FPÖ) Heinz Christian Strache il quale, forte dell’ottimo risultato ottenuto alle presidenziali da Norbert Hofer, ha sentenziato in questo modo: “Se l’Ue si ostina nel suo rifiuto a fare le riforme, allora un voto dell’Austria sarà un nostro obiettivo”. Persino in Svezia, i Democratici, partito nazionalista, chiedono che vengano rinegoziati gli accordi e che il popolo svedese dovrebbe avere l’opportunità di poter esprimersi sulla sua appartenenza all’Ue. Per finire, segnaliamo anche le parole provenienti dalla Germania stessa pronunciate dal capo di Alternative für Deutschland, Frauke Petry: “I cittadini europei vogliono ora riprendersi la sovranità alla maniera britannica”.
Non c’è dubbio che sul vecchio continente, ora più che mai, soffi un forte vento euroscettico. Il prossimo anno e mezzo sarà fondamentale per capire quale sarà il futuro dell’Ue. Il calendario politico, infatti, prevede le elezioni presidenziali in Francia il prossimo maggio: se il Front National riuscirà a migliorare il risultato delle regionali dello scorso dicembre conquisterà l’Eliseo e allora sarà referendum. In Olanda, sempre nel 2017, ci saranno le elezioni per la Camera, in Austria nel 2018 si terranno quelle parlamentari, vero appuntamento atteso dal Partito della Libertà (FPÖ). E non dimentichiamoci le elezioni federali in Germania il prossimo autunno. Se tutte queste forze politiche si affermeranno nei rispettivi paesi, parole come Frexit o Nexit potranno essere qualcosa di più che semplici slogans.
Il rischio (per Bruxelles) e la speranza (per i popoli liberi) è che il risultato del referendum britannico possa causare il cosiddetto effetto domino. Se nei prossimi mesi i popoli europei, guardando l’esempio britannico, si accorgeranno che fuori dall’Ue c’è vita, questi movimenti euroscettici porteranno moltissimi cittadini a votare per le loro liste. Ovviamente non sarà facile. Si deve sempre tenere a mente che il Regno Unito ha la propria sovranità monetaria e non è precisamente un dettaglio fare un referendum sotto ricatto Draghi che “chiude i rubinetti”, con la conseguente corsa isterica agli sportelli e lo spread alle stelle (Grecia docet).
E in Italia? Già, quasi ci dimenticavamo dell’Italia. Premesso che un primo passo per lanciare qualche segnale a Bruxelles sarebbe bocciare la riforma costituzionale al referendum del prossimo ottobre, nel nostro paese la palla è ormai passata al Movimento 5 Stelle il quale, dopo la conquista del Campidoglio e l’exploit di Torino, si è seriamente candidato come alternativa di governo. Ma la linea politica del M5S su Ue e Euro è a dir poco ambigua. A oggi sembra stare su posizioni più moderate come dimostra l’abbandono del, seppure impossibile, referendum sull’Euro e l’atteggiamento di un Di Maio che strizza l’occhio alla grande finanzia come si è potuto recentemente leggere in un suo tweet. Inoltre come ha riportato Claudio Messora sul suo blog byoblu, sul sito dei 5 Stelle il 20 maggio è uscito un articolo in cui si afferma che “il Movimento 5 Stelle è in Europa e non ha nessuna intenzione di abbandonarla […] il Movimento 5 Stelle si sta battendo per trasformare l’Ue dall’interno”. Quando si tratta di essere dal lato giusto della storia…

(Pubblicato originariamente su l'Opinione Pubblica)

venerdì 24 giugno 2016

Cortocircuito occidentale vol.2


di Vincenzo Cerulli

Forse mi sono perso qualcosa?
Scusate lettori ma quando Alexis Tsipras portava avanti la lotta all'austerità e si lamentava dell'insostenibilità dell'ingente numero di richiedenti asilo sul territorio greco era un bravo Kompagno che difendeva il proletariato giusto?
Bene, allora perché ora che chiede le stesse identiche cose Nigel Farage questi viene descritto come uno sporco xenofobo disumano nazionalista? Ve lo diciamo noi perché. Questa è la volta buona che a Bruxelles iniziano ad avere veramente paura. Il Regno Unito batte moneta autonomamente, sovranamente, quindi non è ricattabile. Almeno oggi lasciatecelo dire, Dio strabenedica gli inglesi!

Insostenibilità dell'uguaglianza in Nietzsche


di Vincenzo Cerulli

Elaborato della tesina per un esame di laurea triennale sullo Zarathustra di Friedrich Nietzsche.

<<Perché così parla a me la giustizia: “gli uomini non sono eguali”.>> (Così parlò Zarathustra – Adelphi pag.113)

Questa frase è pronunciata da Zarathustra nel capitolo ‘delle tarantole’ ed al suo interno vi è concentrata buona parte del pensiero politico di Friedrich Nietzsche. Per il filosofo di Rocken la vita, in quanto volontà di potenza, è continuo e perenne auto-superamento di se stessa, gerarchia, è conflitto e guerra, diseguaglianza, differenza ed elevazione: per questo non accetta che venga limitata in forme prestabilite e già sempre fissate. La figura della tarantola metaforicamente rappresenta il tipo politico del progressista, figlio dell’epoca dei “lumi”, fedele nel progresso dell’umanità viene descritta come affascinata e promotrice della volontà di uguaglianza, che per Nietzsche è la suprema realizzazione del cristianesimo di derivazione paolina. Paolo di Tarso infatti con la rivolta degli schiavi ha ribaltato l’impero romano, il più grande impero che gli uomini abbiano mai conosciuto. La volontà di uguaglianza è lotta contro la potenza, lotta contro la vita, la volontà di essere tutti uguali deriva dal sentimento di vendetta e gelosia nei confronti del più forte, del ‘signore’: per questo il cristianesimo di Paolo è l’ideologia fondamentale del nichilismo. Alla morte di Cristo i suoi discepoli, guidati da Paolo, hanno negato quello che il profeta aveva predicato in vita: in primo luogo il concetto di “offrire l’altra guancia”. I cristiani alla morte della loro guida sono caduti nel risentimento, hanno provato odio e desiderato vendetta contro la figura del ‘signore’ romano, in questo modo hanno fatto crollare un impero, fattisi portavoce dell’uguaglianza planetaria hanno colpito a morte chi non accettava la loro volontà (l’impero pagano prima e gli eretici pagani dopo). Qui sta il vulnus degli ‘ideali egualitari’: Nietzsche critica proprio il fatto che chi li professa nasconda la propria volontà di comandare dietro una fumosa giustizia oggettiva. <<Se il sofferente, l’oppresso perdesse la fede di avere il diritto di disprezzare la volontà di potenza, entrerebbe nello stadio della più nera disperazione. Ciò avverrebbe se questo carattere fosse essenziale alla vita, se risultasse che anche in quella “volontà di morale” è camuffata solo questa “volontà di potenza”, che anche quell’odio e quel disprezzo è ancora una volontà di potenza. L’oppresso capirebbe di stare con l’oppressore ‘sullo stesso piano’ e di non avere un ‘diritto migliore’, un ‘rango superiore’ rispetto all’altro.>> (KSA 12, OFN VIII, I) Questa “cattiva coscienza”, o ipocrisia di fondo, che troviamo nella volontà di uguaglianza (che altro non è che volontà di potenza camuffata) viene descritta ancor meglio da Nietzsche in un passo in cui delinea una dialettica simile a quella servo-padrone in cui l’influenza di Hegel è palese: <<Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato volontà di potenza; e anche nella volontà di colui che serve ho trovato la volontà di essere padrone. Il debole è indotto dalla sua volontà a servire il forte, volendo egli dominare su ciò che è ancora più debole: a questo piacere, però, non sa rinunciare. E come il piccolo si dà al grande, per avere diletto e potenza sull’ancor più piccolo: così anche ciò che è più grande dà se stesso e, per amore della potenza, mette a repentaglio - la vita>> (Così parlò Zarathustra pag.130,131 Della vittoria su se stessi). Con Nietzsche allora ci chiediamo: <<è giusto che il servo valga quanto il padrone, è giusto che “chi non ha rischiato la propria vita”(Hegel) abbia tanto potere di incidere sulla realtà quanto chi ha rischiato tutto?>>. La risposta di Nietzsche è assolutamente negativa e la possiamo in parte scorgere in questo passo: <<Perché gli uomini non sono eguali: così parla la giustizia. E a loro (qui con particolare riferimento ai ‘dotti’) non dovrebbe essere lecito volere ciò che io voglio>>.(Così parlò Zarathustra pag.145 Dei dotti) Qui il filosofo è chiarissimo, si delinea una gerarchia netta fra chi serve e chi comanda ed il primo non ha “diritto a volere” quanto il secondo.

 La volontà di uguaglianza si manifesta politicamente attraverso la democratizzazione di ogni spazio della vita associata; per Zarathustra però questa volontà di uguaglianza non è altro che la massima realizzazione del nichilismo ed in quanto tale negazione della vita.  Per Nietzsche una società, un’epoca più in generale, si può definire ‘sana’ ed in forze solo se permane quella gerarchia che da sempre contraddistingue la storia degli uomini. L’impero romano è stato grande proprio perché comandato da ‘signori’ e non da servi, o da “servi eletti”, scelti dal popolo. Nietzsche troverà questa ‘forza’, questa ‘salute’, questa ‘postura eroica’ nei confronti della vita anche nel Rinascimento italiano: <<Le epoche forti, le culture nobili vedono qualcosa di spregevole nella compassione, nell’amore del prossimo, nella mancanza di sé e di sentimento di sé. – Le epoche sono da misurarsi secondo le loro ‘forze positive’ – e così ne risulta che quell’epoca così prodiga e fatale del Rinascimento fu l’ultima grande epoca, e noi, noi moderni con la nostra ansiosa sollecitudine verso noi stessi e il nostro amore del prossimo, con le nostre virtù del lavoro, della modestia, della legalità, della scientificità – accumulatori, economici, macchinali – siamo un’epoca ‘debole’… Le nostre virtù sono condizionate, sono ‘provocate’ dalla nostra debolezza.>>(GD Scorribande di un inattuale 37) All’origine della volontà di uguaglianza c’è l’invidia verso chi possiede volontà di potenza: per questo la morale degli schiavi, la morale cristiana, è giudicata da Nietzsche come una morale del ‘ressentiment’, una morale contro-natura. <<Nell’imporre un unico standard e un’unica condotta per tutti, nel trascurare la distinzione e la differenza – soprattutto in senso gerarchico – “la morale come contro-natura, cioè quasi ogni morale finora insegnata, venerata e predicata, si rivolge al contrario contro gli istinti della vita, – essa è una condanna ora segreta, ora rumorosa e sfacciata di questi istinti”(GD Morale come contro-natura 4). E’ in realtà immorale dire: “Quel che è giusto per uno deve essere giusto per l’altro”(JGB 221)>>(Chiara Piazzesi – Nietzsche pag.151). Dunque la critica raggiunge un senso ontologico nel momento in cui democratizzazione ed uguaglianza, passando per il cristianesimo, vengono ricondotte perfettamente al nichilismo.

Alla figura della tarantola Nietzsche oppone in maniera speculare la figura della “scimmia di Zarathustra” nel capitolo ‘del passare oltre’. Questo “pazzo furioso” infatti è la rappresentazione poetica della figura del reazionario. La “scimmia” ha in comune con Zarathustra l’insofferenza verso la modernità, il senso di inadeguatezza esistenziale verso la propria epoca; le loro proposte sono però opposte. La scimmia vuole “tornare indietro”, sente la mancanza dei vecchi valori, della metafisica, della figura rasserenatrice di Dio e per questo tenta una sorta di “restaurazione”; Zarathustra invece vuole “passare oltre” la modernità attraverso la creazione di valori nuovi. I suoi modi e le sue pose sono grottesche, i suoi discorsi sono brutte copie di quelli di Zarathustra, la sua vita è una continua riesumazione di valori perduti per sempre. Se assumiamo che “Dio è morto” la messa, il rito eucaristico, altro non è che farsa, messa in scena: ecco, così è la vita della “scimmia”, una farsa. Prendendo in prestito l’immagine delle “tre metamorfosi” potremmo anche dire che la “scimmia”, dopo aver assistito alla vittoria del leone sul cammello-drago, senta una vertigine profondissima, un horror vacui tremendo ed insopportabile nel vedersi sola come “signore nel deserto”. Le sue spalle non sopportano il peso di quella responsabilità destinale a cui è chiamata a rispondere: tra “le vecchie tavole e nuove” vede il nulla e non ha il coraggio di superarlo con la creazione di valori nuovi.

Qui c’è probabilmente una differenza ontologica fra l’agire della “scimmia” e quello della tarantola e Nietzsche sembra addurre un peso più grave a quello di quest’ultima. Secondo le “tarantole” la modernità va ancor di più accelerata; ma non superata nel modo di Nietzsche, non con un nuovo creare, non con l’innocenza tragica a cui sarà destinato il fanciullo, bensì con l’uguaglianza planetaria. Annullando tutte le differenze, le diversità, le gerarchie, non fanno altro che imporre una gerarchia diversa, quella secondo la quale il forte deve essere dominato dai deboli e deve essere anche punito per la sua potenza.  Così parlano le tarantole dalle loro tane: “Noi vogliamo esercitare la vendetta e l’oltraggio contro tutti coloro che non sono eguali a noi”(Così parlò Zarathustra pag.111).  Nietzsche identifica la volontà di eguaglianza con il nichilismo, ci dice che proprio presso le “tarantole”, fra gli ideali egualitari, ha trovato dimora: “Vogliono far male a quelli che ora hanno la potenza: infatti, presso coloro trova miglior domicilio la predica della morte”(Ibidem pag.113). Da qui deduciamo la gravità ontologica maggiore delle tarantole; di contro le “scimmie” sono talmente spaesate nel deserto di valori da iniziare a fingere che Dio non sia morto, (una sorta di psicosi?) non accettano la fine di un’epoca e quindi non ne inaugurano una nuova. Riprendendo l’immagine delle “tre metamorfosi” sembra quasi che le tarantole si trovino perfettamente a loro agio nel deserto di valori, per loro il processo di metamorfosi dello spirito si dovrebbe fermare al leone, non hanno bisogno di valori nuovi, non viene prospettato un fanciullo futuro per “redimere” la modernità. La loro libertà si esaurisce nell’essere “liberi da”, morto il drago non si chiedono “per cosa” sono libere adesso. Probabilmente fanno corrispondere “valori nuovi” unicamente a “regole nuove” e loro non ne vogliono sentir parlare, nemmeno se sono chiamati essi stessi a scriverle. Ecco uno “schizzo” dell’epoca moderna, in cui la “libertà” priva di responsabilità viene ridotta a liberalità, la liberazione alla liberalizzazione.
I cuori di tarantola hanno scambiato la possibilità della libertà più grande, quella cioè di darsi valori nuovi autonomamente, con la misera sregolatezza offerta dal non darsi nessun valore. Qui si compie una trasvalutazione dei valori, il “tu devi” del cammello diventa “io voglio” ma questo “io voglio” non si decide sull’oggetto del proprio volere e così la potenziale carica liberatrice della volontà del leone si auto-estingue nell’atto del consumo sfrenato e sregolato, la volontà di potenza si riduce ad obbedienza all’istinto. “Creo dunque sono” direbbe il fanciullino annunciato da Zarathustra; “consumo dunque sono” sibilano le tarantole in ogni dove, ecco la loro libertà, libertà di consumare.

Ora viene spontaneo notare che nella nostra epoca in maggioranza assoluta sono le tarantole, la fede nel progresso dell’umanità è incrollabile, persino dopo il suicidio di intere generazioni in due guerre mondiali, persino dopo la bomba atomica si continua ciecamente a credere in due parole chiave: “crescita e progresso”. Si continua a ripetere che la “tecnica” è imparziale, oggettiva, e che sta all’uomo forgiarla in base ad ideali di giustizia ed uguaglianza. Si ignora la critica di Heidegger riguardo l’impossibilità dell’imparzialità della tecnica, quindi si arriva presto a dire che la bomba atomica non era una male “in sé”, che c’è sicuramente un modo “umano” per utilizzarla.

 Qui sarebbe interessante mettere in relazione la critica che Carl Schmitt opera sul concetto di “umanità” con quella di Nietzsche su quello di “uguaglianza” , i due concetti vengono spesso utilizzati assieme per giustificare oggettivamente interessi molto soggettivi; purtroppo non si dispone dello spazio necessario.

 Ricordiamo invece brevemente il nesso fra “tecnica” ed “uguaglianza”. “Dio creò gli uomini diversi, Samuel Colt li rese uguali”. Questa celebre frase segna il passaggio di un’epoca: questo passaggio non riguarda unicamente il campo bellico. Avviene un rovesciamento talmente importante da arrivare a toccare qualsiasi spazio della vita associata. Il passaggio di cui parlo è quello per cui non conta più la preparazione militare, l’allenamento, la forza, il coraggio o lo spirito necessario per un combattimento corpo a corpo; tutto si riduce alla velocità di esecuzione, chi arriva primo al grilletto vince (la situazione è portata oggi all’estremo con i droni per i bombardamenti comandati a migliaia di chilometri di distanza). Gli uomini vengono tutti portati allo stesso livello: il “coraggio”, cifra di distinzione che permette a  Zarathustra di scrollarsi di dosso il “nano” (Ibidem pag.183 La visione e l’enigma), è costretto a comparire sempre più raramente in una società perfettamente meccanizzata. Da quella grande nazione che chiamiamo USA è partita, ancora prima che con la rivoluzione francese, la “riscossa per l’uguaglianza”: questo paese viene difatti preso a modello come esempio di democrazia e tutto quello che succede lì (in campo economico, sociale, politico etc), in un breve periodo si ripresenta anche qui nel vecchio continente. Sempre negli USA nascono quei movimenti che Alain De Benoist nomina come portatori di un “femminismo egualitario”, movimenti che ancor oggi foraggiano la “gender theory”, una teoria “che non esiste”. Qui vi facciamo riferimento solo per far notare ancora di più come la direzione verso cui sta precipitosamente correndo la nostra società è quella dell’uguaglianza totale, l’uguaglianza figlia dell’assenza di differenze e discrepanze: “A differenza del femminismo identitario o differenzialista, che pone l’accento sulla differenza, la promozione o la riscoperta del femminile, il femminismo egualitario sostiene che sarà possibile raggiungere una vera parità fra uomini e donne solo quando nulla sarà più in grado di distinguerli tra loro” (Alain De Benoist – Oltre l’uomo e la donna Circolo Proudhon Edizioni, pag.6). Non possiamo esimerci dal cercare di trovare i punti di raccordo fra le parole del pensatore francese e quelle di Nietzsche. Quella di De Benoist è una bieca reazione o una seria critica nel solco del filosofo della volontà di potenza? Così Nietzsche riguardo la ‘vita’: “E poiché ha bisogno di altezza, ha bisogno anche dei gradini e della contraddizione tra i gradini e coloro che salgono! Salire vuole la vita e salendo superare se stessa”(Così parlò Zarathustra pag.113). Come può esserci ‘differenza’ in una società in cui le categorie maschio/femmina, uomo/donna vengono meno? Viene qui prospettata una società di individui neutri ed eguali, è forse queste la naturale evoluzione dell’antropologia cristiana fondata da San Paolo, è forse questo un passo avanti verso l’umanità unificata come “un solo gregge” del Vangelo di Giovanni? Chiudiamo questa parentesi con le ultime parole del pamphlet prima citato: “E’ il sogno di una postmodernità post-sessuale dove, non essendo riusciti a creare una società senza classi ci si accontenterà di una società senza sessi. Una società dove la ‘liberazione del desiderio’ non consiste nella volontà di liberare il desiderio, bensì nel dovere di liberarsene. Un sogno di indistinzione, un sogno di morte”. (Ibidem pag.33) Un ‘sogno di morte’, forse così Nietzsche vedeva i sogni di uguaglianza che già nel suo secolo iniziavano a farsi strada attraverso le teorie socialiste. Chiara Piazzesi sullo stesso argomento: <<… Nietzsche riconosce le idee democratiche, il socialismo e perfino il femminismo come alcune delle più forti tendenze “uniformatrici” della modernità, rivolte ad eliminare le differenze in quanto disparità, a livellare la superiorità, ad “ammansire” ogni personalità che non sia moralmente e socialmente addomesticata.>>(Carocci Editore – Nietzsche pag.148)  Quindi ora ci chiediamo: prospettiva estrema quella di Nietzsche o profezia avveratasi? Credendo di costruire una società giusta ne stiamo disegnando una senza gradini e senza differenza fra chi li dovrebbe scalare; per questo per salire in alto ormai non possiamo far altro che auto-superarci, “salire sul nostro capo”. “E se ormai ti sono venute a mancare tutte le scale, bisogna che tu sappia salire sul tuo capo: come potresti altrimenti salire in alto?” (Così parlò Zarathustra pag.178 Il viandante)


Una società “senza gradini” potremmo “abbozzarla” qui anche in un altro senso: una società in cui chi 200 anni fa non sarebbe sopravvissuto per malformazioni genetiche, deficit alla nascita o semplici malattie, oggi vive tranquillamente grazie a piccole operazioni o semplici antibiotici. “Ai brutti tempi andati di rado sopravviveva un bambino che avesse qualche spiccato, o lieve, difetto ereditario. Oggi invece, grazie all'igiene, alla farmacologia moderna e alla coscienza sociale, quasi tutti i bambini venuti al mondo giungono a maturità e si moltiplicano. Date le condizioni oggi dominanti, ogni progresso della medicina sarà frustrato da un corrispondente aumento del tasso di sopravvivenza degli individui che dalla nascita portano con sé una qualche insufficienza genetica.... Una società siffatta fino a quando potrà conservare le sue tradizioni di libertà individuale e di governo democratico? Fra cinquanta o cento anni i nostri bambini daranno una riposta a questa domanda.” (Aldous Huxley – Ritorno al mondo nuovo, pag.247) Non si vuole in nessun modo dare un’interpretazione biologistica del filosofo tedesco ma questa riflessione di Huxley ci pone di fronte degli interrogativi capitali: se ciò accade dal punto di vista biologico dal punto di vista “morale-filosofico” avviene lo stesso? Il ‘malato’ o ‘debole’ nello Zarathustra non è malato o debole fisicamente (geneticamente), questa figura è descritta nel capitolo ‘Dei predicatori di morte’ (pag.46.48). “Basta che incontrino un malato o un vegliardo o un cadavere, perché dicano <<la vita è confutata!>>. Ma soltanto loro sono confutati e il loro occhio, che dell’esistenza vede solo quell’un volto”(Ibidem pag.46) I ‘malati’ sono coloro che dicono no alla vita, sono quelli che predicano la morte in ogni dove ma non compiono mai l’estremo gesto verso se stessi, sono anche quelli che non sopportano (tragen) il ‘pensiero più abissale’, l’eterno ritorno. Qui si definisce un’altra gerarchia, sta “sopra” chi sopporta quel peso, il ‘sano’, il ‘forte’ e sta “sotto” chi si dispera e “si rovescia a terra digrignando i denti” (Gaia Scienza frammento 341). In questa prospettiva l’ultimo uomo è ‘malato’, soffre l’eterno ritorno, non lo sopporta e subisce la ‘dècadence’ senza riuscire a superare il nichilismo; l’oltreuomo è invece il ‘forte’ che grazie al coraggio che mostra nel sopportare “il peso più grande” si scrolla  di dosso il ‘nano’ e supera il nichilismo, lo sopporta, lo sostiene.

sabato 11 giugno 2016

Ci si scopre popolo - Calcio e Nazione


di Vincenzo Cerulli

Con la perfetta ciclicità che ricorda i tempi immutabili delle liturgie religiose il calcio torna a manifestarsi nella forma meno solita. Maxischermi iniziano ad essere allestiti nei giardini e nelle piazze pubbliche, pensionati nei bar fra una sigaretta e una partita a carte iniziano ad indossare le vesti da allenatore, i quotidiani sportivi tirano una boccata d’aria per il temporaneo aumento delle vendite e bandiere tricolori iniziano a spuntare come fiori fra balconi e finestre, tanto nelle periferie più abbandonate quanto nei quartieri più ricchi. Ieri la partita Francia-Romania ha aperto le danze degli Europei di calcio 2016 e gli italiani finalmente hanno l’occasione per riscoprirsi popolo. Nell’era della post-ideologia non c’è più nulla a tenere unite milioni di anime in unico corpo, non c’è un humus comune in cui coltivare un’idea di paese. Non c’è un solo partito politico nella cui idea di paese si identifichi “un popolo”, probabilmente perché nessun partito politico ha veramente un’idea di paese, tutti ripetono la stessa sostanza con una forma diversa ciascuno: qui sta la loro “differenza”, nell’esteriorità. Non esiste una religione “di stato” in cui un popolo crede sinceramente ed ingenuamente: la maggior parte degli italiani vive il cattolicesimo come catechismo, tradizione, obbligo e nient’altro, dunque non c’è niente di trascendente in cui un popolo si possa identificare, un Dio attorno a cui stringersi. Nessuna idea (le ideologie manco a dirlo) che metta in relazione realtà confliggenti per portarle a compimento in uno scopo comune, nemmeno nei movimenti o nelle forze metapolitiche extraparlamentari trovano identificazione le masse scomposte che tanto hanno influito nella storia del ‘900 con “l’acclamatio” del leader politico.  Nulla, un vuoto totale; eccezion fatta per il calcio, non qualunque tipo di calcio eh, non i campionati o le coppe di club: a tenere unito un popolo oggi ci riesce solo la Nazionale.

Vorremmo qui tracciare alcune convergenze fra il ruolo che svolge oggi la Nazionale in Italia e il Sovrano nelle opere di Carl Schmitt. Nella sua visione di “politico” Schmitt vuole assolutamente evitare che lo Stato sia il campo di battaglia delle lotte intestine fra partiti perché il risultato è il continuo stato di “bellum omnium contra omnes”: per questo si augura che nel caso d’eccezione, cioè nel momento in cui l’ordinamento giuridico vigente non riesce più a contrastare la situazione di crisi, prevalga la figura di un Sovrano che decide quale sia il bene comune in quel momento e qual è il modo migliore per perseguirlo. Riassumendo all’osso potremmo dire che il Sovrano è colui che relativizza i conflitti interni per portare poi il conflitto all’esterno dei confini nazionali, dà forma ad un popolo e unifica le parti contrastanti. Nel Sovrano il popolo si identifica e lo acclama, non ci  sono più diversi schieramenti in lotta fra loro per il potere. Nella Nazionale possiamo scorgere una fenomenologia simile: da tutti i club del mondo i migliori giocatori della stessa nazionalità si uniscono per formare una squadra “d’unità nazionale”. Fino a Maggio sguardi velenosi, gomitate ed insulti (fra De rossi e Candreva, fra Barzagli e Insigne, fra De Sciglio e Bernardeschi etc) ma quando si indossa la maglia azzurra viene sospesa la “lotta intestina” di hobbesiana memoria, finiscono le conflittualità fra giocatori di club diversi perché c’è un “nemico” contro cui ci si unisce: una Nazionale avversaria. Il conflitto non finisce, viene semplicemente spostato dall’interno all’esterno. Attorno a questa Nazionale si unisce tutto un popolo, le diverse fedi calcistiche vengono sublimate in un’unica fede: quella negli undici azzurri.


Pasolini in un’intervista diceva questo: “Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”. Noi però vorremmo aggiungere che oltre ad essere l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, il calcio è anche e soprattutto fondamento coesivo di unità popolare. Il rito di cui parla Pasolini non è privato, individuale, moderno insomma; il rito-calcio viene consumato in piazza, allo stadio o in un pub con gli amici, la fruizione privata-individuale è rarissima: il calcio è un rituale iper-popolare. I tricolori vengono esposti ciclicamente ogni due anni (sedi istituzionali a parte), questo significa che evidentemente quella bandiera alla maggior parte degli italiani fa pensare prima ad una palla che corre su un prato che a sentimenti patriottici di vario tipo. 

Il calcio è grande e Pasolini è il suo Profeta.

martedì 7 giugno 2016

Un invito alla lettura: Le cronache di Narnia


di Vincenzo Cerulli

“Le cronache di Narnia” sono una raccolta di 7 racconti scritti fra il 1950 e il 1956 da Clive Staples Lewis. Possiamo ascriverli sotto il genere di “fiaba-favolistico” ma non dobbiamo escludere dalla catalogazione un particolare che è fondamentale e nel quale affonda le radici la superiorità che ha la storia di Narnia (a mio parere) rispetto a molte sue simili. Questo particolare sta nel fatto che ogni racconto è vivissimamente attraversato da immagini cristiane e sono proprio questi riferimenti così spontanei alla religione in cui Lewis credeva profondamente che la rendono unica nel suo genere. Prima di proseguire credo sia doveroso un chiarimento, che Lewis ebbe cura di fare, riguardo il genere fiabesco in generale. Nella postfazione alla raccolta, intitolata “Tre modi di scrivere per l’infanzia”, l’autore rivendica fermamente la sua inclinazione a preferire tal genere piuttosto che gli altri. Elegantemente (come solo un grande scrittore sa fare) si prende gioco di quelli che a tutti i costi devono dimostrare di essere adulti: “I critici che usano l’aggettivo <adulto> come un complimento anziché come un semplice termine descrittivo, non possono essere considerati adulti in prima persona. Preoccuparsi di sembrarlo, ammirare le cose dei grandi perché sono da grandi, arrossire al sospetto di passare per infantili sono i classici segni della fanciullezza e dell’adolescenza. […] Diventato uomo ho messo da parte le paure infantili, compresa quella di sembrare infantile e il desiderio di dimostrare che sono cresciuto”. Lewis continua poi in questa doverosa e nobile battaglia in difesa della fiaba in questo modo: “Ci accusano di arresto dello sviluppo perché non abbiamo perso i gusti che avevamo da ragazzi, ma l’autentico arresto non può considerarsi nel rifiuto di abbandonare un patrimonio, bensì in quello di acquisirne uno nuovo” , sono sicuro che tutti converrete perché poi continua “Oggi mi piacciono Tolstoj, Jane Austen e Trollope come le fiabe, il che è una crescita; tuttavia se avessi rinunciato alle fiabe per far posto ai romanzieri non potrei parlare di crescita ma solo di un cambiamento nei gusti. Un albero cresce perché si formano nuovi anelli, un treno che lascia una stazione per arrivare alla prossima non cresce affatto[…]”. Ci sarebbero molte altre frasi dell’autore che vorrei riportarvi ma mi sto rendendo conto che già quelle che ho lasciato qui sopra forse sono troppe, per questo vi invito sinceramente a leggere almeno la postfazione (fatto ciò, leggere Narnia sarà una naturale conseguenza). Scusatemi per questo exscursus ma credo sia obbligatorio almeno avvicinarsi a capire l’idea di “fiaba” che aveva Lewis prima di gettarsi a capofitto nell’analisi dello splendido mondo da lui creato, quello di Narnia. Più in alto ho accennato a quelle forti immagini cristiane che si susseguono per tutto l’arco narrativo dell’opera; ma ad essere più precisi non sono solo immagini, sono la vera e propria colonna vertebrale dell’intero universo narniano, la sua unica condizione d’essere. Lewis non scrisse i libri nell’ordine in cui sono poi stati disposti dagli editori, giunto al terzo libro credeva di aver dato sfogo a tutta la sua indole di “subcreatore” (J.R.R.Tolkien “On Fairy Stories”, in Essays Presented to Charles Williams – 1947) ma così non fu. Decise poi infatti, grazie a Dio, di approfondire l’universo che in realtà aveva solo abbozzato. Fu così che scrisse racconti cronologicamente precedenti, successivi e persino contemporanei all’arco narrativo della triade centrale precedentemente pubblicata. Dunque, perché parlavo di “unica condizione d’essere”? Vi basti pensare che l’immagine preminente del primo libro (ordine cronologico) “Il nipote del mago” è la genesi di Narnia. Parlo di genesi perché non è una semplice creazione, i rimandi a quella biblica sono chiari, nitidi e di incommensurabile bellezza. Se avete sentito parlare di Narnia avrete di certo sentito parlare di Aslan il leone mitico “figlio dell’imperatore d’Oltremare”. Aslan è Dio, l’Onnipotente che, ruggendo, intona una melodia struggente e sublime, che ci immerge in una nostalgia senza tempo proprio perché posizionata all’alba dei tempi. Narnia nasce dal ruggito di Aslan, i suoi animali parlanti, i suoi animali muti, i fiumi, le montagne, i mari, persino la luce del giorno, tutto nasce dalla forza della melodia di Aslan. Ma Aslan è anche Cristo, e come Cristo si immola per una colpa che non ha. Si fa sacrificare dalla Strega Bianca sulla Tavola di Pietra per poi risorgere all’alba del giorno dopo e risorge perché: “[…] quando al posto di un traditore viene immolata una vittima innocente e volontaria, la Tavola di Pietra si spezza e al sorgere del sole la morte stessa torna indietro”. Questo dice Aslan, una volta risorto, a Lucy e Susan. Aslan è anche agnello. Alla fine dell’ultimo racconto della trilogia centrale i protagonisti, giunti ai confini del mondo, si trovano di fronte un agnello bianchissimo, il cui candore è accecante. Lucy al Suo cospetto dirà: “Per favore agnello, è questa la strada per il regno di Aslan?” e l’agnello gli rispose “Non per voi, troverete la strada per il regno di Aslan nel vostro mondo”. Così Edmund sbalordito gli chiese se anche nel loro mondo ci fosse una strada che porti ad Aslan e l’agnello rispose: “In ogni mondo esiste una strada che conduce al mio regno”. L’agnello poi si tramuta in Aslan sotto gli occhi increduli dei ragazzi a cui poi dirà che devono imparare a riconoscerlo anche nel loro mondo. Aslan-Dio quindi trascende le normali realtà spazio-temporali, alle quali noi siamo incatenati, per trasmettere il suo messaggio di salvezza. La salvezza però, come ci insegna la Bibbia, non spetta a tutti e così Lewis nell’ultimo libro “L’ultima battaglia” illustra anche ai più piccoli come al tempo dell’Apocalisse saremo tutti tenuti a render conto del nostro operato nella vita terrena, quella che Aslan chiamerà il “sogno” o “Terra delle ombre”. Nella descrizione che ci farà poi Lewis della vita dopo l’apocalisse c’è un forte influsso neoplatonico, e questo ce lo spiegherà bene Diggory, protagonista de “Il nipote del mago” con queste parole rivolte a Peter, il Re Supremo: “[…] Ma non era la vera Narnia: aveva un inizio e una fine, era l’ombra o la copia della Narnia autentica, che invece esiste ed esisterà per sempre”. Ci sono molte altre figure che meriterebbero di essere trasposte fra queste righe ma se continuassi toglierei qualcosa al piacere della vostra lettura. Un’ultima però ci tengo a riportarla, è quella di Emeth, un guerriero di Calormen (un paese più volte in guerra con Narnia). Emeth non crede in Aslan, il suo popolo venera un Dio diverso da quello dei narniani, un Dio oltre lo sconfinato deserto che separa le terre di Archen da Tashbaan, questo Dio si chiama Tash. Emeth dirà agli altri ragazzi protagonisti della storia : ”[…] Da quando ero bambino mi considero un devoto servitore di Tash e il mio più grande desiderio è stato conoscerlo di persona. Il nome di Aslan, invece, mi è sempre stato odioso”. Emeth avrà poi la fortuna di incontrare Aslan invece; e Questo gli dirà: “ Figlio, tutto quello che hai fatto per Tash lo hai fatto per me”. Non entro nei particolari della vicenda perché l’incontro fra Aslan ed Emeth è uno dei più lirici dell’intera opera e potrei rovinarlo completamente cercando di riportarlo qui; resta il fatto però che è quanto mai attuale. Lewis, che mai avrebbe osato immaginare la situazione socio-politica attuale, ci ha lasciato anche questo monito mai tanto urgente quanto oggi, quello di evitare lo scontro di civiltà (mascherandolo, peraltro, come scontro di religioni). Questa lettura porta noi italiani a confrontarci con una realtà che la maggior parte di noi dopo il catechismo da per scontata: il cristianesimo. Su di me in qualche modo questo confronto sta operando e continuerà ad operare, spero con tutto il cuore che sarà così anche per chi, fra di voi, lo leggerà. Ora vi lascio, nella speranza che qualcuno fra di voi ha già preso a cuore la storia di Narnia, con un’ultima frase di Lewis che seppellisce definitivamente la barbara battaglia contro il genere della favola: “ Sarei tentato di stabilire la regola in base alla quale una storia per bambini che piaccia solo ai bambini non sia un granché: quelle veramente affascinanti durano. Detta in altri termini, un valzer che ci piace solo mentre lo balliamo non è un bel valzer”.

(Articolo pubblicato originariamente sul N°1 della rivista "La Voce del Padrone")

venerdì 3 giugno 2016

Una seduta spiritica spiritosa


di Menno Gabel

Lo scorso 13 maggio, ultimo giorno dei Lemuria –la notte di Halloween del calendario romano– a casa Prodi hanno organizzato la consueta seduta spiritica per fornire a Piercarlo Padoan informazioni di prima mano sulle prospettive di sviluppo dell’economia italiana, e per la speranza che uno spirito caritatevole ed esperto potesse suggerire a Gentiloni e alla Mogherini qualche sensata strategia di medio periodo per la politica estera rispettivamente italiana ed europea, con magari un’indiscrezione sul futuro presidente degli States. Dei risultati della serata spiritica è trapelata finora solo una ghiottissima e inattesa sorpresa: la buonanima purgante di Giuseppe Gioacchino Belli ha inoltrato dalle sue sedi transacherontiche un transapocrifo sonetto “a specchio” (con una quartina aggiuntiva dopo le due terzine) su papa Francesco, una pasquinata impressionante che, giuntaci per vie traverse ma  verificate e attendibili (le stesse per intenderci che seppero comunicare il collegamento di Aldo Moro rapito e ancora vivo con Gradoli, via o paese che fosse), condividiamo con i nostri curiosi lettori.


A Roma chi se fa l’affari sua
E poi fa créde d’èsse un sanfrancesco
A daje un nome in schietto romanesco
Se chiama paraculo, bontà sua.

Tra segni da toccasse li cojoni   *
Padre Bergojo è mo’ papa Francesco
Co’ li massoni ch’offrono er rinfresco
Ai gesuiti e a tutti i fratelloni.

Se un Benedetto dice “Me n’andrei”  **
Cor core più sanguigno de ‘na rapa,
Ecco Bergojo ch’a maggior gloria dei  ***

Se fa alliscià’ fino che ce s’arrapa, 
Lui, principe de’ novi farisei,   ****
C’ortre che paraculo è parapapa.  *****

Ognuno è santo alla misura sua:
Tanto piena è ’na botte che un ditale,
Non meno dell’Atlantico un pitale,
noce o nave piena da poppa a prua.

San Carlo Boromeo c’ha ’r Sancarlone   ******
San Pietro ha dato er nome ar sampietrino.   *******
Bergojo, come è scritto ner destino,
Lo chiameranno tutti Ber…gojone.   ********



*   Si allude probabilmente al fulmine che colpì la Cupola di San Pietro nei giorni dell’ultimo conclave, o alla croce crollata con morto in Valcamonica pochi giorni dopo la canonizzazione bergogliana di Karol Wojtyla, o forse alla colomba liberata dal pontefice all’Angelus e assalita da un corvo, auspicio funesto molto significativo dalle parti dell’ Acheronte, e ben degno di essere espiato col volgare rito apotropaico della toccata testicolare.
**   “Il me n’andrei” , secondo uno dei presenti all’evocazione spiritica, sarebbe stato sottolineato dall’anima del  Belli con indicibili sghignazzi e allusioni al ben più travagliato “rifiuto” di Celestino V.
***   Ad maiorem  Dei gloriam  è come si sa uno dei motti dei gesuiti.
****   Inf. XXVII, 85 : la celebre perifrasi dantesca per  Bonifacio VIII.
*****   Parapapa alluderebbe alla presunta dubbia legittimità dell’elezione dell’attuale pontefice: falso papa, pseudopapa
******   Il Sancarlone è la statua colossale (35 m) innalzata ad Arona, nel Novarese, in onore di San Carlo Borromeo.
*******   Il Belli gioca qui con l’antifrasi popolare romana che mette in rapporto semantico l’umile selcio delle pavimentazioni stradali con il ruolo di Pietro come “testata d’angolo” dell’edificio della chiesa cattolica.

******** I puntini di sospensione (che tanto spiacevano a Umberto Eco) sono stati posti per registrare il fatto, testimoniato dai presenti alla seduta spiritica in casa Prodi, che la voce della buon’anima del Belli là avrebbe fatto una lunga pausa irriverente e allusiva spezzando la parola proprio in quel punto. Quindi tre punti non pleonastici voluti proprio dall’autore.

mercoledì 1 giugno 2016

Cortocircuito occidentale vol.1


di Vincenzo Cerulli

"La Germania è la Germania, non può diventare un paese arabo. Tutte queste persone possono essere ospitate solo temporaneamente, alla fine della guerra dovranno tornare nei loro paesi per ricostruirli"
I Benpensanti avranno subito pensato che queste frasi fossero di qualche nazi-fascista moderno tipo Salvini, Grillo, la Le Pen o Farage e compagnia bella; e invece no. Sono tutte parole del Dalai Lama. Occidente in caduta libera.

Fonte: https://www.rt.com/news/344983-dalai-lama-refugee-crisis/