sabato 23 luglio 2016

Il futuro dell'Europa secondo la visione di Cioran


di Horatiu Chituc

Limitandomi all’immediato, e in special modo all’Europa, prevedo, con una chiarezza perfetta, che la sua unità non si realizzerà, come credono alcuni, con accordi e trattative, ma attraverso la violenza, secondo le leggi che governano la formazione degli imperi”. Queste le parole di Emil Cioran che si riscoprono nel capitolo “Alla scuola dei tiranni” del saggio “Storia e Utopia” pubblicato nel 1960. Queste le parole che, alla luce degli avvenimenti degli ultimi giorni, sembrano prevedere la direzione in cui un’Europa sempre più sanguinante potrebbe dirigersi.


Nessuno può negare che il versamento di sangue c’è stato e, con molta probabilità, continuerà ad esserci. Si tratta di una crisi a cui la società “democratica e libera” degli ultimi decenni non è abituata, non come in altre parti del mondo dove si convive quotidianamente con il pensiero della morte e della lotta per la sopravvivenza. Noi invece ci eravamo scordati della guerra, della morte violenta; tutte cose tenute lontane dal nostro guscio protettivo “fortificato” con la libertà e la tolleranza.

Ebbene, a detta di Cioran, sono proprio questi (libertà e tolleranza) gli aspetti che segnano il declino di una civiltà che è arrivata al culmine della sua ascesa e che, da qui, non possono che preannunciare il ritorno a quello che c’era prima. In modo simile avvenne anche la fine della repubblica romana, che, dopo i terribili fatti delle guerre civili, si prostrò ai piedi dei dittatori e degli imperatori dando vita all’impero.

Sebbene, però, l'attuale discorso politico e sociale europeo sia totalmente diverso da quello che era due millenni fa, ci troviamo in una situazione affine per quanto riguarda le crisi intestine che preannunciano un cambiamento radicale nelle coscienze degli Europei, molti di cui sono pronti a reagire, mentre altri si tengono fondamentalmente saldi ai principi occidentali odierni e scelgono come strategia di “combattimento” il “continuare a vivere liberamente”, spacciandolo per una soluzione.

Ma volendo parlare di chi è pronto a cambiare rotta, si deve notare che tra non molto ci saranno le elezioni nei maggiori stati europei (Francia, Germania, Austria) ed è qui che il vero cambiamento può aver luogo, perché il popolo, soprattutto alla luce dei nuovi avvenimenti di stampo terroristico, è pronto a voltare pagina e svoltare a destra; non alla solita destra moderata, ma a quella anti-europeista, vista come nuova speranza per una reazione forte contro il terrorismo.

Collegando una possibile vittoria di questi partiti nei loro rispettivi paesi (che sono il cuore dell’Unione Europea) alla citazione summenzionata di Cioran, dobbiamo chiederci: saranno forse loro i nuovi tiranni di cui dobbiamo avere paura? La risposta è semplicemente no. Si tratta di separatisti, non di uomini politici pronti a unire l’Europa con la spada. E allora chi saranno i veri tiranni? E’ vero che sul piano economico e legislativo per certi aspetti stiamo già in una dittatura mascherata con l’UE che si impone sui vari stati e popoli europei, ma non si tratta ancora di una dittatura con la spada.


E’ proprio dopo le possibili vittorie della destra anti-europeista che vedremo se la visione cioraniana di un’unione tirannica dell’Europa si avvererà come reazione agli impulsi separatisti e indipendentisti. E’ lì che vedremo se questa Unione Europea che vive come una dittatura mascherata avrà il coraggio di rivelare se stessa per quel che è anche in modi violenti e senza scrupoli.   

(Pubblicato originariamente su http://parolaallagora.blogspot.it/)

lunedì 4 luglio 2016

Brogli in Austria: si torna al voto


La Corte Costituzionale austriaca ha riscontrato irregolarità nelle recenti elezioni presidenziali austriache: sono state certificate irregolarità in 94 dei 117 distretti elettorali per un totale di 78 mila schede scrutinate non correttamente. Più del doppio dei voti che decisero l’esito finale. A settembre il popolo austriaco sarà chiamato nuovamente a pronunciarsi.

di Simone Mela

Si andrà di nuovo al voto. I cittadini sono chiamati per l’ennesima volta alle urne. Ma se qualcuno pensa che si tratti del nuovo referendum sulla Brexit, come vorrebbe quella ridicola petizione lanciata in rete, si sbaglia. Proprio così, ad andare a votare saranno invece i cittadini austriaci, i quali dovranno scegliere, questa volta regolarmente, il loro Presidente.
Lo scorso 22 maggio infatti si era concluso veramente al fotofinish il ballottaggio per la presidenza della Repubblica austriaca tra il candidato del Partito della Libertà Austriaco (FPÖ) Norbert Hofer e l’indipendente Alexander Van der Bellen, appoggiato dai Verdi. Grazie al voto per corrispondenza, a spuntarla era stato quest’ultimo con uno scarto di appena 30 mila preferenze (50,3% – 49,7%). Ma le irregolarità riscontrate durante la fase di scrutinio, come l’affluenza al 146,9% al collegio di Waidhofen an der Ybbs (in pratica più votanti degli aventi diritto) o lo scrutinio dei voti per corrispondenza iniziato anzitempo, spinsero il partito nazionalista a chiedere ricorso. Ebbene questo ricorso è stato vagliato dalla Corte costituzionale austriaca.
“Le elezioni sono il fondamento della nostra democrazia e il nostro compito è di garantirne la regolarità. La nostra sentenza deve rafforzare il nostro Stato di diritto e la nostra democrazia”, ha detto a Vienna il presidente della Corte costituzionale Gehrart Holzinger prima di pronunciare la sentenza.
In due settimane la Consulta ha ascoltato 90 testimoni e le irregolarità sono state certificate in 94 dei 117 distretti elettorali per un totale di 78 mila schede scrutinate in maniera irregolare: più del doppio dei voti che decisero l’esito finale. Mai prima d’ora era stato annullato un ballottaggio in Austria e mentre Bruxelles rimane a guardare, avendo dichiarato di non interferire con le decisioni prese da uno Stato membro, il pensiero non può che andare a quanto successo in Gran Bretagna con il referendum sulla Brexit. È stata molto chiara infatti la posizione presa dal partito di Hofer di voler sentire l’opinione del popolo sul tema Ue.
Se l’Ue seguita a svilupparsi così distorta verrà il momento di dare la parola ai cittadini austriaci” – Queste sono state le sue parole pochi giorni fa, dopo la consultazione britannica, mentre oggi, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, sempre per quanto riguarda un possibile referendum, risponde che “qualora la Turchia dovesse entrare nell’Unione Europea, ciò non sarebbe gestibile da parte dell’Europa, e ci sarebbe una ragione fondata per domandare alla popolazione austriaca la sua volontà sulla permanenza o meno in un simile contesto. Il caso della Gran Bretagna ha dimostrato che l’Unione Europea, questa Unione Europea, è palesemente lontana dalle persone […] Un cambiamento dei trattati europei in direzione di un ulteriore riduzione delle competenze degli Stati membri, in Austria, porterebbe automaticamente a un referendum”.
Insieme alla Brexit, dunque, l’elezione (prevista per il prossimo settembre) di un presidente nazionalista di uno Stato che fa parte dell’Unione europea, evento mai avvenuto dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, potrebbe rivelarsi una micidiale doppietta per l’Ue. Non vogliamo nemmeno immaginare cosa stia balenando nelle teste dei vari Severgnini, Saviano e Monti per una decisione così garante della democrazia. Loro, per i quali la democrazia va bene solo se vince la fazione che ritengono più giusta. Loro, che decisioni così importanti non devono essere sottoposte al popolo greve e ignorante. Beh, il popolaccio riandrà a votare e forse attirerà anche coloro i quali hanno preferito Van der Bellen ma, schifati dai brogli messi in evidenza, potrebbero votare a favore di Hofer. Appuntamento a settembre.
(Pubblicato originariamente su l'Opinione Pubblica)

sabato 2 luglio 2016

Due facce della stessa medaglia


di Vincenzo Cerulli

Che differenza c'è fra un giovane italiano in fuga verso Londra o la California e un giovane pakistano in fuga verso i nostri lidi? Nessuna nella sostanza. Il primo verrà sfruttato come lavapiatti o commesso tuttofare in un grande magazzino, il secondo come venditore ambulante, nelle spiagge d’estate e nei supermercati d’inverno. C'è solo una piccola differenza formale per quanto riguarda la comodità (il "comfort" cui gli occidentali anelano) dei due tipi di espatrio. Le motivazioni sono le stesse ed anche le ambizioni, causa e fine coincidono da Reggio Calabria, Roma, Milano fino a Islamabad, Lahore e Karachi: anche le ambizioni si appiattiscono su un unico modello planetario, la “way of life” hollywoodiana ha la stessa forza persuasiva su tutti i meridiani. Entrambi hanno deciso di fuggire invece di lottare per cambiare il proprio paese, entrambi sono il frutto più dolce della globalizzazione: lo sradicamento apolide senza scopo.

Il capitalismo li costringe ad abbandonare il proprio paese, i propri cari; eppur loro fuggono alla ricerca del capitalismo, assistiamo ad una sorta di sindrome di Stoccolma per la quale chi è costretto a sopravvivere di stenti invece di cambiare la propria esistenza vuole radicalmente sostituirsi a chi muove gli enormi capitali che stanno massacrando le aziende del proprio paese, invece di combattere chi mette in ginocchio l’economia della propria nazione si limitano ad invidiare i loro stili di vita, si adora malignamente il padrone.

La vittima si lega al carnefice attraverso l’imposizione massmediatica del desiderio irresistibile per quegli oggetti che sono proprio la causa del proprio male, il sigillo della propria sconfitta (vedi “Un comunista a Parigi nel ‘68” Lorenzo Vitelli Circolo Proudhon Edizioni). Così attraverso l’imposizione (che non è assolutamente violenta ma anzi volontaria e “soft”) di quegli oggetti del desiderio (grandi automobili, hi-tech di svago, fast-food etc,etc) le vittime auto-alimentano il proprio mulino del supplizio, un cane che si auto-compiace del proprio mordersi la coda.

Per questo prima di una rivoluzione socio-economico-politica abbiamo innanzitutto bisogno di una Rivoluzione cultural-antropologica: dobbiamo cambiare i nostri oggetti del desiderio. Per concludere, tornando alle nostre due “vittime” del turbocapitalismo finanziario dobbiamo di nuovo sottolineare che desideri identici fanno persone identiche, un unico mercato planetario in cui tutti vogliono le stesse cose è più semplice da controllare piuttosto che 10,100,1000 mercati.

Vi lasciamo con una frase di un intellettuale che forse più di tutti aveva anticipato, compreso e temuto questa tremenda “mutazione antropologica”: Pier Paolo Pasolini. Il poeta ci ha infatti lasciato questo monito: “Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto, nessuno li aveva colonizzati. Io ho paura di questi negri in rivolta, uguali al padrone, altrettanti predoni, che vogliono tutto a qualunque costo.”

Se dobbiamo veramente abbattere il Padrone dobbiamo iniziare a riconoscere la nostra condizione di servi, servi colti, con dei diritti, anche belli e in salute ma pur sempre servi: in quanto vicini agli ultimi della società, in quanto in lotta con trattati non voluti e organizzazioni internazionali, servi in quanto più vicini a chi soffre, servi in quanto affamati. 


(Pubblicato originariamente su Economia Democratica)