martedì 31 maggio 2016

Ubi solitudinem faciunt pacem appelant


di Menno Gabel

“Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”.
Dove fanno il deserto lo chiamano pace.

Il postcomunista D.O.P. Carlo Petrini di Slow Food cita sui giornali del 31 maggio scorso Tacito e il discorso antiimperialistico di Calgaco per difendere le specificità organolettiche e culturali delle filiere del latte minacciate dall’eliminazione europoide delle quote nazionali di produzione.
Che pena vedere dei residuati della generazione del sessantotto rispolverare le stesse citazioni, a suo tempo orecchiate o suggerite per fare da slogan nelle manifestazioni contro la guerra in Vietnam, per difendere i valori imprescindibili di formaggi fondamentali come il  Caciocavallo di Ciminà o il Fatulì della val Saviore girandosi invece dall’altra parte di fronte all’allegro suicidio etnico, culturale ed economico dei popoli  autoctoni dell’Europa.

No. L’uomo non è ciò che mangia. L’uomo è ciò che rivomita.

lunedì 30 maggio 2016

La jettatura di don Benedetto


di Menno Gabel


In un periodo in cui Giovanni Gentile, tormentato da una forte depressione nervosa per  l’ansia di un concorso universitario, tardava a inviargli un’ impegnativa e urgente recensione (la nota “recensione Windelband”) e gli scriveva di sperare di riuscire “lavoricchiando” a spedirgli almeno un articolo sul Laberthonnière, Benedetto Croce gli riscrive che avrebbe gradito “assai avere la recensione Laberth., anche come segno che si è rotta la jettatura”. Anche don Benedetto dunque da buon meridionale, e come tanti suoi allievi, alla jettatura anche se non vera ci credeva.
            Chissà come deve essere rimasto quando nell’estate del 1944 gli sarà in qualche modo arrivata l’eco della notizia della morte violenta di Giacomo Lumbroso, uno storico oggi poco noto, collaboratore di Gentile e allievo di Niccolò Rodolico e Gioacchino Volpe.
           
            Di Giacomo Lumbroso è ancora utile, ed è stato anche da non molto ristampato, un’interessante studio del 1932 sulle insorgenze antigiacobine, I moti popolari contro i francesi alla fine del secolo XVIII (1796-1800). Lumbroso con la sua ricerca si pone nel solco della storiografia nazionalistica dei primi decenni del Novecento, che con Rota, Volpe e Rodolico si occupava dell’Insorgenza, soprattutto nell’Italia Meridionale, cercando di vedere in essa, come prima manifestazione di lotta contro la presenza straniera nella Penisola, una delle fonti del Risorgimento.
            Nel 1933 Benedetto Croce sulla Critica (n° 31) stroncò scrollando le spalle il lavoro di Lumbroso con parole a dir poco sdegnate:

Secondo l'autore, il Risorgimento italiano ha “origini più complesse di quanto certa critica storica ritenesse fino ad oggi”;  ed egli non crede che si possa continuare ad affermare, come si usa, che i novatori italiani della fine del settecento, i democratici e i giacobini italiani, “inginocchiati dinnanzi ai vincitori, dimostrassero di avere, più dei popolani laceri e inermi che suonarono le campane contro i francesi, uno spirito patriottico e una coscienza italiana” (p. 193). Quei giacobini italiani zelavano la libertà politica, vale a dire un concetto “completamente dissimile” da quello d'indipendenza nazionale, confusi i due e sovrapposti dalla tradizione storica per un cumulo di circostanze contingenti” (pp. 8-9). Per di più, essi erano teorici, astrattisti, « inadatti a qualsiasi azione politica, e sopratutto incapaci di esercitare un’ influenza sulle masse, che non si curano dei principii e guardano ai fatti”  (p. 117).
            Che cosa rispondere a sentenze come queste, che l'autore ripete più volte e che sono il pensiero, l’unico pensiero, del suo libro? Niente: scrollare le spalle. Si tratta di un cattivo vezzo preso da molti ai giorni nostri  - per ecolalia,  per accomodarsi ai tempi, per darsi l'aria di superatori, o quale altro ne sia il motivo - d' ingiuriare la libertà e gli uomini della libertà, ai quali noi italiani dobbiamo tutto; e l'autore di questo libro (a giudicare dal cognome che porta) deve certamente qualcosa di più di quel che debba io: perché, senza quegli uomini, i suoi padri sarebbero rimasti ancora chiusi nei ghetti o sarebbero stati scannati e bruciati dalle plebi sanfedistiche, com'egli stesso racconta che fu generalmente fatto, tra il 1796 e il 1800, in tutte le parti d'Italia dove dimoravano ebrei. Si tratta, per di più, di scarsa conoscenza e meditazione delle leggi della storia, la quale procede sempre dall'alto al basso, dal moto delle idee ai fatti, dalla cultura alle “masse”.

A Giacomo Lumbroso già Croce non perdona il cattivo vezzo di quello che oggi chiamano revisionismo, essenza da sempre del mestiere dello storico e non atteggiamento di chi si dà arie di superatore, il vezzo di rimettere in discussione interpretazioni non più soddisfacenti anche se protette dallo scrupolo di ingiuriare “la libertà e gli uomini della libertà” ( l’argomento insomma per cui di Garibaldi non si può parlar male). In più sfugge a don Benedetto un’allusione evitabile e un po’ volgare al cognome ebraico di Lumbroso, oltretutto convertito al  cattolicesimo e coniugato con una cattolica.
            Forse nel 1944 qualcuno avrà informato Croce che quel giovane collaboratore di Gentile, fascista convinto negli anni dello squadrismo, ma sempre più deluso del fascismo diventato regime fino a doverne subire l’assurda e incongrua politica razziale, era ironicamente morto colpito per strada, “dall’alto al basso”, da un franco tiratore nel corso della travagliata entrata a Firenze delle truppe angloamericane. A Croce potrebbe essere giunta la voce  che quello storico dal nome probabilmente giudaico era appena tornato a Firenze in armi, ufficiale dello strano esercito cobelligerante del regno del sud, per morirvi fatalmente in via Landino, non lontano dalla Fortezza da Basso, centrato da un franco tiratore dei disperati fascisti insorti proprio per guastare dai tetti del centro della città l’entrata di altre truppe straniere che avrebbe voluto essere trionfale e festosa. Forse il Lumbroso poco prima di essere fulminato si sarà sentito finalmente un uomo della libertà e avrà forse ripensato alla giustezza di fatto di quella pertinente cattiveria crociana sugli ebrei vincolati a stare sempre dalla parte di quella presunta libertà. Forse in quei momenti paradossali, dopo aver visto lo scempio dei lungarni in macerie e le ferocie  della guerra civile avrà ripensato a quello che proprio lui aveva scritto per commentare del Triennio giacobino le stragi bestiali e le assurdità insensate della lotta tra insorti arrabbiati, profittatori, traditori, opportunisti, illusi, ingenui, vittime casuali e pochissimi eroi. Se non l’avesse colpito a morte dal tetto quell’uomo o quella donna resi fanatici dai tempi, dai tradimenti e dagli opportunismi, e comunque destinati entro poche ore a essere massacrati senza processo perfino sui gradini di Santa Maria Novella, il professor Lumbroso avrebbe certamente avuto modo e occasione di ripensare a quello che aveva creduto giusto scrivere giusto dodici anni prima commentando l’esito infausto dell’insurrezione di Lugo di Romagna:

Frattanto dal Municipio Ferrarese veniva nominato d’autorità un nuovo Consiglio Comunale che ripigliasse in mano l’ amministrazione della infelice Lugo, in preda al disordine ed all’ anarchia. I nuovi consiglieri erano egregi ed onesti cittadini, di animo mite e di temperate opinioni; ma il terrore dei francesi poteva tanto sull’animo loro da indurli ad incredibili atti di servilismo. Basti per provarlo il fatto che in quell’estate si progettò di inalzare sulla piazza principale di Lugo un monumento commemorativo con sopra incisa un’epigrafe nella quale « il Senato ed il popolo di Lugo » —S. P. Q. L . — rivolgevano umili grazie al generale francese Augereau — Augero duci gallico — che, avendo diritto di incendiare la città  — jure belli incendendum — le aveva con inaudita clemenza, risparmiato quel giusto castigo.
            Per fortuna quel progetto non ebbe esecuzione. Si risparmiò così ai posteri un documento da aggiungersi agli altri — ahimè innumerevoli — del servilismo italiano verso gli stranieri.


Davvero quella recensione di Benedetto Croce scrollante le spalle ha finito per trasformarsi in un’involontaria jettatura nei confronti di un onesto intellettuale costretto dall’ironia della sorte a morire dalla parte e a vantaggio di chi meno avrebbe immaginato e nel pieno di un’assurda insorgenza in cui orde rivali intossicate dalla stessa illusione giacobina rinnovavano una volta di più stragi e distruzioni ancora più vaste, inutili e indiscriminate.

martedì 24 maggio 2016

Elezioni in Austria: un voto d'autoconservazione delle elite


di Simone Mela

Come già accaduto per le regionali in Francia, anche in Austria i partiti europeisti sono riusciti a negare la vittoria degli euroscettici, facendo convergere i loro voti verso il candidato dei Verdi, Alexandr Van der Bellen. A salvarli, è stato il discutibile voto per corrispondenza, che ha ribaltato il risultato di domenica. A questo punto bisogna chiedersi se, anche la prossima volta, lo spirito di autoconservazione delle élite riuscirà a prevalere ancora sulle necessità dei popoli europei.


Ballottaggio sul filo del rasoio ma a spuntarla è l’ex presidente dei Verdi, Van der Bellen. Alexander Van der Bellen, professore di economia ed ex presidente dei Verdi è il nuovo presidente dell’Austria. La giornata di domenica si era conclusa con un distacco minimo di 150 mila voti a favore del candidato del Partito della Libertà (Fpö) Norbert Hofer, il quale si era affermato con il 51,9% dei consensi.

Il risultato su mappa del voto di domenica. Van der Bellen trionfa solo nella città di Vienna e nel Voralberg, le zone più “colte” e con più densità di immigrati.



All’appello però mancavano i voti per corrispondenza, ossia quei voti degli Austriaci residenti all’estero e di chi è stato impossibilitato a recarsi personalmente alle urne, come per esempio i disabili. Se da questi voti, già al primo turno Hofer aveva preso il 10% in meno, anche questa volta i 900 mila voti per posta (200 mila in più rispetto a un mese fa) hanno confermato una tendenza negativa per il Partito della Libertà, registrando una netta preferenza per il candidato dei Verdi (61,7%). Alla fine la spunta proprio quest’ultimo con uno scarto di voti veramente irrisorio (50,03% dei voti): parliamo di appena 30 mila voti.
Gli elettori dei socialdemocratici (SPÖ) e dei popolari (ÖVP), sprovvisti di un proprio leader già dopo il primo turno, hanno deciso di virare sul più rassicurante e moderato professore al fine di scongiurare il pericolo rappresentato dallo “xenofobo, populista e ultranazionalista” Hofer. Missione compiuta: il giochino democratico del tutti contro uno, dunque, ha funzionato anche in questa occasione.
Si ricorderà questo film già visto lo scorso dicembre in Francia, in occasione delle elezioni regionali in cui il Front National dopo esser risultato primo partito in sei regioni su tredici, sette giorni dopo uscì sconfitto contro il “minestrone repubblicano” non riuscendo ad affermarsi in alcuna regione. Di sicuro Hofer in Austria, come in Francia il FN, esce a testa alta, ed anzi sarebbe da chiedersi quanto mai potranno durare queste grandi “coalizioni lberal-democratiche” nei prossimi appuntamenti elettorali di tutta Europa.
La stampa mainstream, ovviamente, non ha perso occasione di rivendicare la vittoria di Van der Ballen come una vittoria pro Europa e contro il populismo xenofobo. Agendo in questo modo però si rischia di sminuire, non accorgendosi o ignorando, problemi reali e concreti come quello dell’immigrazione incontrollata che non possono più essere ideologizzati ma affrontati e risolti.
Non è casuale a tal proposito, infatti, la distribuzione dei voti. Se Van der Bellen ha riscosso maggior successo tra gli universitari e i laureati, quindi tra il ceto dei benpensanti (81%), Hofer è stato favorito dagli operai (86%), da coloro i quali sono costretti a sganciarsi dal discorso politico dei partiti classici per trovare delle risposte che questi ultimi non sono riusciti a dare, forse troppo impegnati nel farsi portavoce di dei diritti civili e di avere una venerazione dell’immigrato a prescindere. Gli austriaci come anche altri europei stanno capendo piano piano che tipo d’aria tira in Europa (che non è tra le più salubri) e il cambiamento sembra prossimo. Si tratta d scegliere tra l’Europa delle banche, del capitale internazionale e dei nuovi schiavi e l’Europa dei popoli e delle nazioni. Staremo a vedere come finirà.
(Pubblicato originariamente su "L'Opinione Pubblica")

lunedì 23 maggio 2016

Schmitt e la critica al liberalismo


di Vincenzo Cerulli

“Fin dall’inizio il pensiero liberale sollevò contro Stato e politica l’accusa di violenza” Carl Schmitt – Il concetto di Politico 1932
Carl Schmitt nel 1932 scrive “Il concetto di Politico”, un’opera fondamentale per capire ed affrontare l’apparente supremazia dell’economico sul politico. Dico “apparente” perché proprio sul finire dell’opera l’autore sfata questo falso mito, commentando un’espressione di Walter Rathenau secondo il quale alla sua epoca il destino non era più la politica ma l’economia Schmitt scrive questo: “…ora come prima, il destino continua ad essere rappresentato dalla politica, ma nel frattempo è solo accaduto che l’economia è diventata qualcosa di “politico” e perciò anche essa destino”. In questa sede non si vuole analizzare il metodo con cui il filosofo tedesco riconduce tutte le categorie di conflitto (economico, religioso, giuridico etc) al conflitto politico ma si vuole recuperare la critica serratissima che sferra contro il liberalismo per ricondurla, oggi, ad un terreno a noi più adatto.
La sfida non è nuova: Adam Smith col laissez-faire, la mano invisibile e l’autoregolazione del mercato e della società da una parte e Keynes a favore dell’intervento dello Stato come garante della giustizia sociale dall’altro. Le premesse di questi due mondi a confronto sono completamente diverse: per Smith, essendo lui liberale, l’uomo è buono di natura, in grado di autoregolare i propri commerci ed i propri affari senza danneggiare gli altri uomini, è lo Stato che figura come cattivo, corrotto e corruttore, fonte d’ogni vizio, d’ogni male ed in quanto tale va incatenato a dei paletti ben precisi.
Citando l’opera di Schmitt: “ La teoria sistematica del liberalismo riguarda quasi soltanto la lotta politica interna contro il potere dello Stato e produce una serie di metodi, per ostacolare e controllare questo potere dello Stato in difesa della libertà individuale e della proprietà privata, per ridurre lo Stato ad un <compromesso> e le istituzioni statali ad una <valvola di sicurezza>.” Il filosofo è qui chiarissimo, per i liberali lo Stato è il residuo di un’epoca barbarica da superare, nella teoria liberale lo Stato può fungere al massimo da fermacarte. Ora Keynes. A molti potrà sembrare una forzatura inserire l’economista di Cambridge fra le fila dei teorici politici che hanno come loro premessa un’antropologia pessimista ma mi limito a dire che anche se non dovesse considerare gli uomini malvagi, come accade per esempio in Machiavelli, Hobbes, Fichte ed in parte Hegel, comunque condivide le conclusioni di questi ultimi e le sviluppa apposta per la nostra epoca. In tutti gli autori qui sopra citati c’è un grande pensiero politico alla cui base sta l’idea che l’uomo è cattivo, (homo homini lupus) bisognoso di leggi forti che ne regolino il comportamento e di uno Stato forte che le faccia rispettare.
La società non si autoregola, serve l’intervento dello Stato a favore dei più deboli, a favore di chi non capisce il mercato e ne viene sopraffatto, a favore degli ultimi che non capiscono le leggi dell’economia, della concorrenza, lo Stato deve svolgere il ruolo di garante per chi non si occupa di economia. Perché accada ciò servono politici forti, con una grande teoria politico-economica sulle spalle, studiosi di Keynes e Machiavelli, Marx e Schmitt. Vi lascio un’ultima riflessione del giurista di Plettemberg per cancellare una volta per tutte la favoletta raccontata in ogni angolo dai neoliberisti secondo i quali una società regolata dal mercato e dalla concorrenza è già sempre più giusta di una regolata da politica e conflitto. “Non è però certamente ammissibile, e neppure corretto sul piano morale o psicologico o scientifico, definire semplicemente col ricorso a squalificazioni morali, contrapponendo cioè lo scambio buono, giusto, pacifico, in una parola simpatico, alla politica dissoluta, rapinatrice e violatrice. Con metodi del genere si potrebbe allo stesso modo definire, viceversa, la politica come la sfera della lotta gloriosa e l’economia invece come il mondo dell’inganno, poiché in ultima analisi il nesso del ‘politico’ con la ruberia e la violenza non è più specifico di quello dell’economico con l’astuzia e la frode”.
(Pubblicato originariamente su Economia Democratica)

mercoledì 18 maggio 2016

Recensione - Land of Mine


di Beatrice Ambrosi

Scegliere un argomento così delicato, nascosto alla maggior parte dei danesi, è stato certamente coraggioso da parte di Martin Zandvliet, regista del film Land of Mine ­ sotto la sabbia: ha saputo cogliere comunque nel segno, portando sui grandi schermi un'opera indipendente, scegliendo attori per la maggior parte esordienti, che si sono rivelati all'altezza dei ruoli da loro interpretati e che sicuramente rivedremo.
L'opera è ambientata in Danimarca nell'estate del 1945, a seguito della caduta della Germania
nazista, che anni prima aveva posizionato delle mine antiuomo lungo la costa occidentale del
paese danese. Nel binomio vittima-­carnefice vi è però un'inversione di ruoli: difatti sono i danesi
stavolta a rendersi colpevoli, commettendo un vero e proprio crimine di guerra, arruolando giovani
soldati tedeschi per disinnescare le mine; per la prima volta quindi, in un film sulla seconda guerra
mondiale e sugli eventi ad essa annessi, i mostri non sono i tedeschi.
Il film si apre con un sospiro del protagonista, il sergente Rasmussen (Rolland Møller) che passa
in rassegna tutti i soldati tedeschi, gridando loro di tornarsene nel loro paese e picchiando uno di
questi senza un reale motivo: da questa scena emerge tutto l'odio, la repulsione, nei confronti di
un paese che ha devastato il mondo, quello sdegno inevitabile che molti hanno provato verso
questa nazione. E' proprio al sergente che viene affidato, da parte del capitano Ebbe (Mikkel Boe
Følsgaard), il compito di vigilare sui ragazzi a cui viene ordinato di svolgere questo lavoro
abominevole, in condizioni di fame, di malessere, di nostalgia di casa: questi sono giovani pieni di
sogni e di speranze, con i volti sporchi e smunti dalla fatica; volti che contrastano con i colori caldi
con cui Zandvliet e il direttore alla fotografia Knudsen hanno deciso di rappresentare il paesaggio
circostante, ornato dalle dune di sabbia, le onde del mare e le spighe che si agitano al vento, in
giornate soleggiate dove l'unica tempesta è l'esplosione di mine.
Le protagoniste del film infatti sono anche le mine: Zandvliet è in grado di tenere lo spettatore ben
incollato sulla poltrona, in ansia, nell'attesa di scoprire se queste esplodano o meno; in una delle
scene iniziali infatti il regista mostra ognuno dei quattordici ragazzi tedeschi messi alla prova nel
disinnesco delle mine, con quella lentezza snervante e con le mani tremolanti che fanno agitare
anche chi sta solo guardando.
Il fulcro del film è costituito anche da una sorta di parabola, un percorso di formazione, del
sergente Rasmussen: dapprima scontroso e menefreghista nei confronti dei ragazzi, si ritroverà a
provare compassione per questi, a portar loro le provviste di cibo di nascosto, a difenderli dai
giochetti umilianti dei suoi superiori ed infine a giocare a pallone con loro in spiaggia.
Dovrà quindi ribellarsi al capitano Ebbe al quale non interessa che quelli siano ragazzi, che
invochino le loro mamme quando stanno male, perché "Meglio loro che noi" dirà fermamente al
sergente, non pensando che il vero scopo della missione sia bonificare le spiagge: Ebbe
rappresenta il cliché tuttora esistente che vede la Germania condannabile nella sua totalità per gli
abomini commessi durante la guerra; c'è un senso di rivendicazione e di esclusività nei confronti
dei tedeschi da parte del capitano, quasi come se il "Mine" del titolo non rappresentasse soltanto
la mina, ma il pronome possessivo inglese e conseguentemente potremmo, con un po' di
fantasia, chiamare il film "la mia terra": questo concetto è intensificato anche dall'immagine della
madre che richiama in casa la figlia che sta giocando con i giovani ragazzi (etichettati come
nazisti), luogo comune degno di un film horror o di un thriller.
E' un messaggio profondo quello che vuol comunicare Zandvliet con questa sua opera elegante e
raffinata, che parla prima di tutto di umiltà e di umanità: i cattivi non sono i tedeschi né i danesi né
ancora i britannici; i cattivi sono gli uomini, indipendentemente dalla loro provenienza. Non vuole
con ciò colpevolizzare nessuno ma semplicemente sfatare quella convinzione che per un danno,
per un abominio, quale che sia, commesso da poche persone, ci debba rimettere un'intera nazione.

venerdì 13 maggio 2016

Intervista al professore Antonio Maria Rinaldi


di Vincenzo Cerulli

La Voce del Padrone è lieta di riportare ai suoi lettori le parole del Professor Antonio M. Rinaldi, neo segretario di Alternativa per l'Italia, che ha discusso con noi di sovranità, immigrazione, crisi greca, TTIP, sindacati italiani e molto altro. Antonio M. Rinaldi è autore inoltre come blogger su SCENARIECONOMICI.IT

- Professore il 9 Maggio si è celebrata la “festa” dell’Europa, la stessa Europa che sta strozzinando la Grecia e appoggiando i neonazisti in Ucraina, la stessa Europa divisa al suo interno da filo spinato e nuove barriere ogni giorno. Quindi le chiedo, quanta ipocrisia c’è dietro questa festa? Ha senso festeggiarla oggi?

- L’Europa non è nuova a questo tipo di celebrazioni, da tempo l’UE deve far passare questi messaggi all’interno dei paesi membri per poter rinverdire la propria immagine poiché sempre più sbiadita. Credo che siano destinati diversi milioni di euro per poter diffondere a tutti i livelli il “pensiero unico” europeo. In Italia la maggior parte delle Istituzioni destina centinaia e centinaia di migliaia di euro sui social per curare la propria “immagine”, quindi non ci dobbiamo assolutamente meravigliare se in Europa c’è qualcuno che utilizza media e denaro per fare lo stesso. Una cosa incredibile di cui sono venuto a conoscenza è che il 9 maggio a Roma sono state distribuite la bellezza di 350 bandiere europee nelle scuole, evidentemente per inculcare già ai giovani un certo tipo di concetto di Europa quando poi in quasi tutte quelle stesse scuole mancano i servizi più essenziali come carta igienica e sapone.

- Nella mia domanda c’era un piccolo riferimento alla Grecia, in questi giorni a Bruxelles si stanno tracciando dei piani a medio-lungo termine per ristrutturare il debito. Come li possiamo commentare?

- La Grecia è fallita già tantissimi anni fa ma non si è voluto certificarlo ufficialmente poiché altrimenti sarebbe passata l’immagine che all’interno dell’eurozona si può fallire. Questo è avvenuto essenzialmente perché la Grecia non doveva entrare nell’unione monetaria sin dall’inizio, ma soprattutto non doveva adeguarsi al modello economico previsto per il sostenimento di questa moneta, il modello che prevede la stabilità dei prezzi e il rigore dei conti fino al raggiungimento del pareggio di bilancio. Aver omologato tutti i modelli economici ad uno solo per tutti i paesi dell’eurozona ha creato la situazione che stiamo vivendo, in Grecia vediamo quello che accade quando vengono adottate delle misure economiche assolutamente non tarate per le esigenze del paese. Si è voluti andare anche oltre: hanno programmato ristrutturazioni hair-cut di debito pubblico, ci sono stati altri finanziamenti dall’FMI, si è fatto oltre l'inimmaginabile, come se al capezzale di una persona in coma si facessero tutte terapie sapendo benissimo che per il paziente non c’è più niente da fare, pur di tenerlo in vita. La contro-domanda che io faccio è questa. Se l’UE non è stata in grado di risolvere il “problema greco”, che rappresenta a malapena il 2% del PIL dell’intera eurozona, cosa succederà quando paesi con un peso economico ben più importante rispetto alla Grecia, per esempio proprio l’Italia, andranno incontro a delle difficoltà? Questo è il vero problema che noi dobbiamo porci. Non curante delle condizioni del popolo greco, che veramente sta soffrendo oltre ogni limite, la Troika ha fatto della Grecia un laboratorio alla Frankenstein. Quindi la Grecia per aver seguito delle politiche economiche dettate fuori dai propri confini nazionali sta pagando un prezzo quasi superiore a quello della II Guerra Mondiale. In Grecia di fatto sono state sospese tutte le garanzie in cui si riconosce la democrazia, abbiamo visto il governo Tsipras che prima ha promesso di rompere l’austerità ed ora si è ritrovato ad imporre misure di austerità peggiori di quelle imposte dalla stessa Troika. Io non credo che i cittadini greci siano disposti ad andare oltre, anche se i media europei non danno particolare risonanza a ciò che sta avvenendo in Grecia. Sappiamo che lì c’è molto più che un forte malcontento generale, ci sono quotidianamente manifestazioni e scioperi, taciuti per ovvi motivi d’immagine. Fino a quando riusciranno a mantenere questo silenzio sulla Grecia? Noi di fatto stiamo vivendo una dittatura economica che è la più subdola delle dittature, perché non c’è un così detto “sovrano palese”.

- Voi infatti in alcuni dei vostri articoli avete parlato di “dematerializzazione” del sovrano, può spiegare questo fenomeno ai nostri lettori?

- Esatto proprio di questo si parla. Non sai più con chi prendertela a livello “fisico” perché il potere viene gestito da organismi sovranazionali che nemmeno si identificano con una sola persona. Sono diventati tutti dei semplici esecutori, si fanno forti delle loro regole, dei trattati e di vari organismi e meccanismi internazionali e per questo motivo non si riesce ad individuare la figura del “despota cattivo”. È la cosa peggiore, ti fanno credere di essere in democrazia e invece stiamo tornando al medioevo. Voglio ribadire per l’ennesima volta che la sovranità appartiene al popolo e chi nella storia ha tentato di sottrargliela ha fatto sempre una brutta fine.

- A proposito di sovranità siamo felici di ricordare anche qui che è finalmente nato il primo partito italiano pienamente Sovranista, Alternativa per l’Italia (ALI). Nella conferenza di presentazione in Senato avete parlato non solo di sovranità economica ma anche strategico-militare,  avete disegnato l’Italia come nazione con un ruolo guida nel Mediterraneo. Quindi mi viene da chiedere se ALI, oltre ai vincoli dell’eurozona, vuole liberarsi anche dai vincoli NATO?

- Quando ho introdotto il discorso di non limitarci prettamente alla sovranità monetaria facevo riferimento anche alla sovranità alimentare. Le nostre eccellenze alimentari vengono mortificate sempre di più, il colpo di grazia, speriamo che ciò non avvenga, sarebbe il TTIP. Con questo accordo abbasseremmo ancora ulteriormente le nostre tutele, dando il via libera all’invasione di qualsiasi tipo di prodotto che non ha le caratteristiche a cui noi in genere siamo abituati, quei requisiti che in questo campo ci fanno essere i migliori al mondo. Riprendere la sovranità significa quindi smettere di svendere questo Paese che è ormai diventato un outlet a buon mercato per le più grandi multinazionali. Una volta lo Stato poteva intervenire per difendere le proprie eccellenze ed i posti di lavoro, oggi questo non è più possibile. Per  quanto riguarda il ruolo da rivendicare nel Mediterraneo dobbiamo ricordarci che storicamente l’Italia ha sempre avuto un ruolo predominante in quest’area. Oggi però non è più così, un po’ per colpa di politiche errate compiute dai nostri alleati storici, ma soprattutto per la bassa caratura dei nostri politici. Ogni riferimento alla Mogherini è volutamente casuale (sorride). Voglio dire, abbiamo avuto ed abbiamo tutt’ora personaggi che non sono assolutamente in grado di gestire la nostra politica estera, politica estera che dovrebbe essere particolarmente attiva in questo periodo di forti tensioni, in particolare riguardo al mondo arabo e medio-orientale. Noi dovremmo avere un ruolo privilegiato perché da sempre riusciamo a rapportarci nei confronti di questi popoli in maniera diversa rispetto agli altri stati. Circa la NATO ALI crede che l’Italia debba mettere dei paletti e non subire supinamente ogni decisione che la riguarda presa al di fuori dai propri confini nazionali. Non siamo più disposti ad accettare ordini passivamente, perciò nella misura in cui si tenga conto anche delle nostre istanze noi siamo disposti a colloquiare con chiunque; ma nel momento in cui ci si impongono regole dall’esterno noi non siamo più disposti a “collaborare” passivamente. Noi siamo uno Stato Sovrano e vogliamo anche dire la nostra, coscienti di chi siamo e cosa rappresentiamo, non scordiamoci che siamo sempre la seconda impresa manifatturiera in Europa dopo la Germania e rappresentiamo una Nazione che è in grado di esprimere il proprio know-how di altissimo livello; mentre invece nello scacchiere internazionale veniamo relegati sempre più ai margini.

- Visto che abbiamo parlato di NATO e di Mediterraneo adesso andiamo a parlare delle guerre e delle destabilizzazioni che hanno portato a queste enormi migrazioni di massa.  ALI come si pone rispetto a questo problema?

- Fermo restando che non esistono esseri umani di serie A  e altri di serie B dobbiamo anche far notare che noi ultimamente non abbiamo avuto alcun tipo di politica o programmazione del fenomeno migratorio. La mia domanda è questa, qual è il nostro “limite” all’accoglienza? Chi mi può dire che siamo ancora entro i limiti dell’accoglienza dignitosa? Personalmente credo che questo limite sia stato superato da tempo e che non siamo in grado di ospitare tutti quanti. Qui si parla di milioni di persone che desiderano approdare in Europa e quindi passare e/o rimanere anche in Italia. Non possiamo farlo, non siamo in grado di dare assistenza dignitosa a questa gente, d’altra parte non possiamo nemmeno più vedere gente che affoga, famiglie intere, migliaia di persone che muoiono nel nostro mare. Allora io dico questo, facciamo così, anche per garantire agli italiani lo stesso standard di vita del passato, anche questo è un nostro obbligo. Programmiamo quante persone annualmente possiamo ospitare ed accogliere umanamente in Italia offrendogli una occupazione, dopodiché blocchiamo le partenze togliendo la possibilità agli scafisti di foraggiare il mondo della criminalità e le nostrane cooperative che ci speculano sopra e andiamo a prenderli direttamente noi in base all’ospitalità che possiamo garantire per quel periodo. Prendendoli con il traghetto, non assisteremo più ai drammi in mare. Naturalmente chi entra viene regolarizzato, paga le tasse ed ha tutte le coperture sanitarie che gli spettano e, soprattutto, si integra alla nostra civiltà rispettando usi, costumi, tradizioni e stile di vita. Non vogliamo più vedere povera gente che arriva in Italia e poi viene letteralmente tenuta in ostaggio dalle cooperative, anche a nostro danno tra l’altro, non vogliamo più vedere questi essere umani (che devono pur vivere) costretti a sopravvivere d’espedienti con furti e rapine, dobbiamo naturalmente mettere anche in sicurezza gli italiani, mi sembra più che ovvio. Inoltre vorrei ricordare ai “buonisti” dell’ultima ora che solo il 3% degli immigrati che arrivano in Europa fugge da scenari di guerra. Gli altri bisogna aiutarli in loco, ci sono molti modi per farlo: programmi di cooperazione alimentare per esempio, cancellazioni del debito degli stati da cui fuggono in funzione di quanto i loro governi riescono a fare sul territorio per il miglioramento delle condizioni del lavoro e di vita. Così potranno rimanere nella loro terra, è anche giusto che quelle persone possano continuare a vivere dove sono nati, dove hanno radici e tradizioni. Sradicarli ed illuderli che in Italia o nel resto d’Europa possano trovare la terra promessa quando poi si ritrovano a fare anche gli schiavi per pochi spiccioli è la mossa più subdola che possiamo mettere in pratica, ed è quello che accade attualmente. Ribadisco, non possiamo infilare l’oceano in una bottiglia, programmiamo i flussi ed in base alle nostre capacità stabiliamo quanti ne possiamo accogliere ogni anno.

- Questi enormi flussi migratori senza controllo massacrano anche il mercato del lavoro perché vanno a creare quell’esercito industriale di riserva, della cui pericolosità già ci avvertiva Marx, che abbassa sempre di più i salari e le garanzie dei lavoratori italiani, conquistati con anni di lotte sindacali, in funzione di una competitività sleale che rende competitive solo le multinazionali. Perché i sindacati italiani non hanno mai alzato la voce contro questo fenomeno?

- Viene spontaneo da pensare che purtroppo i sindacati italiani sono guidati da persone che non ha nemmeno  le più che minime cognizioni di economia. D’altronde quando l’anno scorso la Merkel “aprì” le porte esclusivamente ai siriani, palesò la volontà di voler prendere solo il “personale più qualificato”, perché di fatto i siriani hanno mediamente un livello di istruzione superiore rispetto agli altri migranti. In questo modo avrebbe potuto, non solo abbassare il costo del lavoro in Germania e quindi essere più competitivi, ma anche sostenere il proprio sistema pensionistico che secondo i loro calcoli diverrebbe insostenibile nel 2020. Rendiamoci conto però che faceva un discorso estremamente selettivo, con la scusa di quello che stava succedendo in Siria si andavano a prendere ingegneri, medici etc, insomma personale qualificato e scolarizzato mentre invece gli altri profughi li lasciavano a noi. È chiaro a tutti ora che il ragionamento che ha fatto la Merkel è spaventosamente cinico, doveva essere sanzionato invece è stata osannata come futura vincitrice del Premio Nobel per la pace!  Ma se di fronte a questo i sindacati italiani non hanno detto (o capito) nulla vuol dire che non sono minimamente in grado di comprendere la gravità della situazione attuale.

-Ora le chiedo di sfatare una volta per tutte un falso mito. Ogni volta che ci si trova a parlare di Sovranità e di prima repubblica, perché le si associano sempre, viene spontaneo affermare che nella Prima Repubblica si stava sicuramente meglio di adesso, ma subito si controbatte che ora si sta peggio perché stiamo ripagando i debiti che ci hanno lasciato proprio loro. Quindi si stava meglio semplicemente perché hanno indebitato il Paese che adesso ne paga le conseguenze.

- Allora proviamo a sfatare questa credenza. Usiamo i dati però, perché le parole sono interpretabili a piacimento mentre i numeri no. Iniziamo col dire che i grandi danni durante la Prima Repubblica iniziarono col divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro, quando si impennò l’entità del debito pubblico poiché i tassi d’interesse si alzarono oltremodo essendo da quel momento determinati unicamente dai mercati finanziari e non più dall’azione della Banca d’Italia che non poteva più regolarli intervenendo sul mercato primario. Il rapporto PIL/debito raddoppio in 12 anni! Tralasciando questo dato obiettivo per un attimo, ci accorgiamo comunque che quando l’Italia è entrata ufficialmente nell’euro con il cambio irrevocabile a 1936,27 lire il I gennaio 1999, il debito pubblico italiano ammontava a 1084 miliardi di euro, mentre ora ha superato i 2200 miliardi e tutto questo ad opera della Seconda Repubblica!!! Possiamo quindi affermare che la Seconda Repubblica ha più che raddoppiato il debito pubblico italiano. Il record è del Sen. Mario Monti che in 17 mesi di (S)Governo lo ha aumentato di ben 148 miliardi! Quindi stiamo attenti a quello che si dice senza conoscere  dati, date e numeri esatti, non stiamo male perché ripaghiamo i debiti che ci ha lasciato la Prima Repubblica, la Seconda ha fatto più danni della Prima (e non solo in termini di entità del debito).

- C’è una frase che voi di SCENARIECONOMICI ed ALI ripetete spesso, non so a dir la verità se è stato lei il primo a pronunciarla e mi farebbe piacere se potesse riassumerne il significato ai lettori di La Voce del Padrone. La frase è: “Riprendiamoci le chiavi di casa”

- Sì di quella frase ho il copyright (sorride). Riprendersi le chiavi di casa significa riprendersi il diritto di sbagliare con la propria testa e non di fare errori per volontà degli altri. Ribadiamo la nostra ferma volontà di poterci autodeterminare e di poter portare avanti la nostra politica economica, pensata e decisa da noi e non dagli altri per le effettive esigenze del Paese. A me non sta bene che il nostro destino sia nelle mani di un’oligarchia autoreferenziale a Bruxelles, nelle mani di persone non elette che fanno gli interessi non certo dell’Italia ma di determinate lobby. Per questo vogliamo riprenderci le chiavi di casa, i Parlamenti nazionali devono ritornare al ruolo di unici arbitri per quanto riguarda la determinazione della propria politica economica, non deve essere un organismo sovranazionale a Bruxelles che tiene in conto unicamente gli interessi delle lobby e delle multinazionali. Tutto questo accade sospendendo i più elementari principi sanciti dalla democrazia!
Ringraziamo il Professore Antonio M. Rinaldi per questa intervista.

giovedì 12 maggio 2016

Intervista all'avvocato Marco Mori


di Simone Mela

La Voce del Padrone ha l’onore e il piacere di parlare di Alternativa per l’Italia, di sovranità, democrazia ed Europa con l’avvocato Marco Mori, uno dei maggiori oppositori della dittatura finanziaria europea, che combatte anche con i fatti e non solo a parole. Scrive come blogger indipendente su scenarieconomici. it e sul suo sito personale studiolegalemarcomori.it. Recente è anche la sua pubblicazione “Il tramonto della democrazia”.

 -Avvocato Marco Mori, il 22 marzo sulla scena politica italiana compare questo nuovo movimento Alternativa per l’Italia. Può spiegare ai lettori del nostro blog come nasce e perché?
Noi abbiamo fatto in questi anni un’attività di informazione sul blog scenarieconomici, sui nostri siti personali, abbiamo fatto alcune pubblicazioni, io ho fatto uscire recentemente il mio libro “Il tramonto della democrazia”, ma ad un certo punto ci siamo resi conto che, obiettivamene, se non fossimo riusciti ad avere un accesso mediatico più importante questa attività divulgativa sarebbe stata abbastanza inutile. Inoltre ci siamo accorti che i partiti tradizionali, tutti compresi, anche il M5S, non sono sulle posizioni corrette, ma su posizioni che faranno schiantare il paese. Domenica sono riuscito ad avere cinque minuti con Luigi Di Maio che purtroppo mi ha ribadito che l’uscita dall’euro non sarà nel programma 5 stelle ma che la loro posizione sarà: “sceglieranno gli italiani con il referendum”. Quindi in questo quadro desolante abbiamo capito che dobbiamo scendere in campo.
-Quindi Alternativa per l’Italia nasce anche perché siete stati in qualche modo delusi, o addirittura anche traditi, da alcune posizioni di qualche movimento o partito?
Più che traditi, siamo rimasti delusi, nel senso che con loro ci sarà soltanto la parete contro la quale ci schianteremo. Se non si capisce che il problema è riportare l’economia sotto il controllo della democrazia, ripristinare i valori della Costituzione del 1948 e renderli finalmente applicati, l’Italia non ha via d’uscita. Viene sempre di più schiacciata da questo potere finanziario che ormai è diventato così forte da distruggere le democrazie. Lo vediamo tutti i giorni attraverso il mantra delle cessioni di sovranità che significa semplicemente sottrarre democrazia al popolo italiano e darla a quei mercati finanziari che ci hanno ridotto in queste condizioni. A noi e a tutto il resto del mondo.
-Si può dunque tranquillamente dire che è nato il primo movimento sovranista italiano?
Sicuramente è il primo movimento sovranista che, a questo punto, è in parlamento dato che abbiamo una componente parlamentare con una senatrice che è Paola De Pin. Sicuramente è nato il primo movimento sovranista che ha chiaro, a mio avviso, il problema in termini economici e giuridici.
-Come mai di questi problemi, i più importanti del paese, non si parla sui media e si lascia spazio ad argomenti che afferiscono al microcosmo della nostra nazione?
Il motivo è molto semplice ed è un po’ quello che ci ricordava Gustavo Ghidini nei verbali della Costituente del ’47, cioè che quando il potere economico supera un certo livello, per definizione diventa potere politico e schiaccia la democrazia. Oggi il potere economico è diventato così forte che si è preso, acquistandoli di fatto, tutti i sistemi informativi principali. Quando le testate giornalistiche e i grandi media nazionali sono tutti al soldo di questo potere economico perché è titolare delle loro proprietà è ovvio che tutto avviene in funzione della sua volontà e quindi il dissenso in televisione viene utilizzato sempre per andare contro il concetto di Stato nazionale, Stato sovrano perché dal momento che c’è la “casta, la cricca e la corruzione” allora è bello distruggere lo Stato per dare ai privati non accorgendosi  che così si fa esattamente il disegno della grande finanza che voleva il potere assoluto sulle democrazie.
-In uno dei punti del vostro statuto c’è, giustamente, l’abrogazione del pareggio di bilancio in Costituzione (art.81). Può spiegare a chi non ne è a conoscenza o l’ha solamente sentito nominare nei tg o letto sulle testate nazionali in che cosa consiste e perché va contro i principi costituzionali?
Il pareggio di bilancio è prima di tutto una negazione dei principi fondamentali della nostra Costituzione. E’ l’esatto contrario dell’articolo 47 della Costituzione che prevede la creazione e la tutela del risparmio. Il suo concetto è fortemente controintuitivo poiché confondiamo lo Stato con qualsiasi altro soggetto del diritto privato. Lo Stato per creare ricchezza e risparmio per i suoi cittadini deve fare nel lungo periodo politiche di deficit altrimenti il risparmio non può esistere. Quindi fa spesa pubblica, perché quello è il modo con cui distribuisce la moneta e ovviamente deve tassare meno di questa spesa pubblica per lasciarci qualcosa. L’Italia purtroppo fa avanzo primario, cioè tassa più di quanto spende da oltre vent’anni e le conseguenze nell’economia si sono drammaticamente viste. Al primo shock esterno per il quale anche le banche commerciali hanno smesso di erogare credito, il sistema è assolutamente collassato perché mancava uno Stato che potesse intervenire con la sua sovranità, con la sua banca centrale, finanziando la spesa pubblica e gettando moneta necessaria nell’economia. Oggi grazie alle politiche di austerità che l’Italia, unico Stato in Europa, ha inserito addirittura in Costituzione con il pareggio di bilancio, noi assistiamo alla follia macroeconomica di essere in deflazione e continuare a fare austerità distruggendoci sempre di più nonostante il dato macroeconomico certifichi in maniera chiara e inequivocabile che manca moneta nell’economia reale. Il famoso Quantitative Easing (QE) della Bce è soltanto moneta che viene data dalla banca centrale alle grandi banche internazionali che poi non prestano soldi all’economie reali perché queste sono distrutte dalla austerità.
 -A tal proposito è interessante il discorso che voi di scenarieconomici fate sulla corruzione: in questa determinata situazione economica il vero problema è l’evasione del barista o del piccolo commerciante?
L’evasione in un momento in cui manca moneta nell’economia reale  significa che i soldi circolano un po’ di più prima di tornare allo Stato. Con queste politiche folli l’evasione è un aiuto concreto all’economia e c’è anche una conferma nei fatti. Mario Monti che cosa ha cambiato rispetto al suo predecessore? Le tasse erano alte già prima, perché si è avuta questa impennata del debito pubblico, questa esplosione della disoccupazione che è raddoppiata, questa recrudescenza della crisi? Non tanto per l’aumento della pressione fiscale, che c’è stato ma non in maniera così rilevante, quanto per il terrore che è stato indotto per chi deteneva ancora dei capitali di spenderli. Si è fatta questa massiccia campagna contro l’evasione. Con il livello di pressione fiscale che c’era già prima era solo l’evasione che consentiva all’economia di resistere. Quando si tassa ben oltre il 50% con punte sulle imprese che possono arrivare al 70% l’economia è morta senza evasione. Nel momento in cui si torna a fare delle buone politiche monetarie l’evasione è un problema perché subentra un discorso di redistribuzione o anche di parziale ostacolo alle scelte monetarie fatte dallo Stato. La corruzione è stata propedeutica a far odiare lo Stato. Siccome il desiderio neoliberista del potere finanziario è cancellare lo Stato, definire lo Stato corrotto e la crisi come conseguenza dello Stato corrotto è il mantra ideale per liquidare le grandi democrazie occidentali. L’unica corruzione dannosa in verità è quella in cui le istituzioni hanno svenduto il nostro paese a interessi stranieri cedendo sovranità, firmando accordi che ci hanno rovinato. Questa corruzione dal punto di vista penale rientra nei crimini contro la personalità dello Stato. Solo questa corruzione ha avuto un danno macroeconomico oggettivo.
-Un altro punto di Alternativa per l’Italia recita: “ Nazionalizzazione dei servizi pubblici essenziali e delle aziende d’interesse strategico nazionale”. Un punto che era stato messo in pratica durante il ventennio fascista. Come risponde a chi potrebbe accostare questo movimento al partito fascista distogliendo l’attenzione da temi importanti come questi?
Bisogna di nuovo scomodare i padri costituenti per comprendere il problema. Nel ’47 sui verbali della Costituente era chiarissimo un fatto ben specifico: cioè che nazismo e fascismo erano soltanto la reazione sbagliata alle politiche neoliberiste fatte in precedenza. Le crisi occupazionali e la crisi economica furono causate da questa politica per la quale il potere economico non aveva nessun limite o freno. Dunque era ovvio che nelle loro componenti, sia in Germania che in Italia, ci fossero al centro alcuni aspetti che tendevano a limitare il grande potere finanziario. Questo modello, però, non è solamente quello del fascismo o del nazismo ma è anche quello fatto proprio dalla Costituzione del ’48 che nella sua parte economica (art. 41-47) prevede espressamente  che la libera iniziativa privata è riconosciuta ma sempre subordinata all’interesse pubblico, la proprietà deve avere una funzione sociale (cioè libera ma si devono evitare i grandi accentramenti di proprietà tali che possano travolgere il pubblico interesse) e si consente allo Stato di nazionalizzare i servizi pubblici essenziali di qualunque genere e specie perché deve prevalere l’interesse pubblico
-Per quanto riguarda invece  l’aria che si respira dentro i tribunali, dopo tutte le battaglie che sta portando avanti contro l’euro e per il ripristino della sovranità, avverte un cambiamento da parte di suoi colleghi o di qualche giudice riguardo a questi atti di criminalità verso la personalità dello Stato?
C’è molta più consapevolezza. Sto vedendo un interesse notevole da parte dei colleghi, un interesse che sta aumentando in maniera esponenziale e vedremo come finirà. A livello penale la procura di Roma, che è quella competente per i delitti contro la personalità dello Stato, sta archiviando le denunce mentre in sede civile arriveremo a sentenza e altre procure come quella di Trani si stanno avvicinando molto ai fatti che sono alla radice degli atti che ho depositato. Ruggiero, grandissimo pubblico ministero, oltre ad aver portato a processo per manipolazione del mercato le agenzie di rating Standard and Poor's, ora ha anche messo sotto la lente di ingrandimento la massiccia vendita fatta dalla Deutsche Bank di titoli di stato italiani (7 miliardi) che furono funzionali a creare la crisi dello spread del 2011.
-Parlando del problema immigrazione quali sono le soluzioni che offre Alternativa per l’Italia?
Anche lì il nemico è sempre lo stesso. Questi paesi sono rimasti in stato di grave sottosviluppo in funzione di un potere economico che li ha sfruttati perché aveva interesse ad ottenere determinate risorse naturali. Le dittature sono più malleabili. È più semplice indirizzare la politica di una dittatura con il potere economico che non avere di fronte grandi democrazie organizzate. Si è creato un problema che è stato aggravato dalla dissennata politica americana perché le guerre hanno portato ad ulteriori  fenomeni di immigrazione. E’ evidente che se noi vinciamo la battaglia contro il potere finanziario e la estendiamo a livello internazionale riusciamo anche ad intervenire su questi fenomeni riportando un po’ più di giustizia nel mondo. A livello generale una delle battaglie principali dovrà essere l’eliminazione del diritto di veto in seno alle Nazioni Unite che ci consentirà di fare politiche democratiche a livello internazionale, cessare l’attività di sfruttamento di questi paesi. Tuttavia, sapendo che realisticamente non possiamo trasferire l’Africa in Italia, nonostante gli errori commessi in passato, dobbiamo necessariamente andare ad intervenire per far sì  che non siano minacciati a casa loro e che non vengano in Italia in massa. Dobbiamo assolutamente fare in modo di ridare sviluppo nei loro territori. Accogliere i rifugiati è sacrosanto ma bisogna avere risorse per identificarli, vedere chi è rifugiato e non consentire a chiunque di iniziare a girovagare per l’Italia. Non è un problema che si può risolvere dall’oggi al domani ma con politiche di lungo termine. Nell’immediato dobbiamo avere un po’ di severità nei controlli ed eseguire le espulsioni. Sarebbe molto più umanitario piuttosto che farli partire avere le nostre forze armate più a ridosso dei confini, resi erroneamente insicuri a causa delle guerre, ed intervenire in loco dando loro sostentamento.
-Non poteva mancare la domanda sul referendum. Non c’è neanche bisogno di chiederle se voterà per il si o per il no. Perché votare NO e cosa pensa del ministro per le riforme Maria Elena Boschi che ha affermato che chi vota No vota come Casapound.
La Boschi è un caso disperato. L’unica cosa che mi interesserebbe sapere dalla Boschi è chi ha scritto la riforma visto che sicuramente non l’ha scritta lei. È un disegno di legge aberrante, è la più grossa riforma costituzionale della storia della Repubblica e la fa una maggioranza illegittima che la Cassazione certifica essere costituita in violazione dei principi di rappresentatività democratica (sentenza 8878/14) e chi si considera legittimata a cambiare la Costituzione, la quale riguarda tutti e non solo la maggioranza costituita con un premio illegittimo e incostituzionale. Nel merito questa riforma è un pasticcio. Non elimina affatto il bicameralismo, crea anzi una molteplice serie di modi con cui portare a termine un disegno di legge, il Senato avrà varie funzioni, prima fra tutte quella di gendarme per quanto riguarda l’applicazione della normativa europea: sono previsti commissariamenti diretti degli organi amministrativi inferiori. E soprattutto in combinato con l’Italicum la riforma darà alla maggioranza il totale controllo della Repubblica e di tutti gl organi di garanzia perché potrà nominare il Presidente della Repubblica e avere la maggioranza in Corte costituzionale.  D'altronde questo disegno nel complesso è funzionale al concetto dei rapporti della Commissione Trilaterale che parlano di governare le democrazie perché una democrazia troppo libera è contraria ai loro interessi finanziari ed economici.
-Secondo lei potrà vincere il No? La mia paura è che la maggior parte della popolazione abituata all’informazione mainstream si faccia abbindolare dall’idea dei tagli ai costi della politica e quindi sarà portata a votare Si.
Probabilmente faranno una campagna su questo. Ho visto un dispaccio di Fitch che dice che se l’italia non voterà le riforme ci saranno conseguenze finanziarie ecc. Ci sarà un lancio via via più forte di varie dichiarazioni per fare pressione sul voto degli elettori. Risulterà importante che le opposizioni questa volta si degnino di fare un minimo di informazione altrimenti diventeranno funzionali. Io ho scritto “Il tramonto della democrazia”, se passasse la riforma possiamo dire che la democrazia è morta e a quel punto riscattarla potrebbe costare molto anche in termini di vite perché non è detto che a quel punto si potrà ragionare soltanto con il diritto.
-Ragionando sul nome del vostro movimento è facile pensare ad Alternative für Deutschland. Quanto c’è di comune e differente fra questi due soggetti politici?
Di progettato in comune non c’è assolutamente niente. Quello che ci accomuna è il fatto che entrambi vogliamo fare gli interessi delle proprie rispettive nazioni e che entrambi condividiamo il fatto che questi interessi si tutelino meglio con il pieno riscatto delle sovranità. Abbiamo avuto con loro un dialogo in occasione della conferenza stampa in cui uno dei loro membri si è presentato ed è venuto ad ascoltarci. Scambiandoci vari contenuti ci siamo resi conto che abbiamo idee molto simili: la sovranità è un passo necessario per la tutela delle nostre democrazie e dei nostri paesi e questa sovranità non implicherà di avere rapporti di inimicizia fra Stati anzi l’esatto contrario. Infatti sovranità in senso costituzionale significa proprio questo: essere padroni a casa propria ma limitare gli effetti di questa sovranità verso gli altri paesi a fini di pace e giustizia per uniformare i rapporti internazionali sulla necessaria solidarietà.

La Voce del Padrone ringrazia l’avvocato Marco Mori per questa intervista.

martedì 10 maggio 2016

Guerra in Europa


di Vincenzo Cerulli


Quest’Unione finirà con la guerra, non ci sono alternative.
Una dichiarazione del genere può sembrare spropositata e per questo merita di essere spiegata; in questo luogo vi proveremo a grandi linee.Le elezioni europee del 2014 hanno visto la fine del bipolarismo all’interno del parlamento europeo: si è infatti creato il cosiddetto “terzo polo”, un’ambigua ed eterogenea amalgama di tutti i partiti o movimenti euroscettici. Prima di quelle elezioni c’erano solo popolari e democratici, due eguali speculari: per questo l’irruzione del “nuovo” ha fatto ben sperare gran parte dei cittadini europei.Da quel maggio di due anni fa abbiamo iniziato a conoscere quella strana amalgama e ci stiamo rendendo conto sempre di più quanto sia rischioso affidare i propri sogni di sovranità a leader esteri. Il “caso” Tsipras ha fatto scuola: fin dall’inizio il premier greco si è presentato come rivoluzionario "anti-austerity", ha poi però finito per essere il peggiore dei riformisti. Ci teniamo a sottolineare che ha poi fallito anche come riformista, di fatto è solo riuscito (male) come agente immobiliare, ha (s)venduto tutto il patrimonio nazionale greco che gli era rimasto.Gli ingenui diranno che almeno ha ripagato il debito; chi segue questa pagina sa invece che ha solamente prolungato l’agonia del suo popolo. L’FMI come un avvoltoio tornerà e quando accadrà lui non avrà più niente da dargli. Come lui (almeno negli intenti) Pablo Iglesias, leader di Podemos, movimento nato come punto di rottura con la dittatura tecnocratica si è dimostrato poi l’ennesimo movimento che vuole cambiare l’UE dall’interno, i degni rappresentanti di chi dice “restiamo nell’euro ma a condizioni diverse”. Il problema è che non c’è un tavolo per contrattare condizioni migliori, quando si dice che Tsipras è andato a sbattere i pugni sul tavolo non si capisce a quale tavolo si stia facendo riferimento. Stessa cosa da noi in Italia col M5S, dopo aver raccolto le firme per il referendum per l’uscita dall’UE (procedura che tra l’altro non può avere luogo) sentiamo sempre più spesso Di Maio lisciare il pelo ai mercati e alla stessa unione monetaria: se c’è qualcuno all’interno del movimento che dissente batta un colpo e lo faccia in fretta. Salvini si professa anti-euro e poi ci delizia con deliri economici riguardo il risparmio sulla spesa pubblica (e meno male che hanno Borghi come referente economico!). In Ungheria Orban tiene botta all’UE perché non ricattabile attraverso i mercati, essendo l’Ungheria uno stato a moneta sovrana. La stessa Ungheria che ha bloccato i migranti al confine con il filo spinato. Il referendum sul Brexit nel Regno Unito ha fatto tremare USA e UE i cui organi di stampa e maggiori rappresentanti stanno paventando terrori e guerre nel caso in cui il Regno Unito uscisse, infatti si teme l’effetto domino. Corbyn, leader del partito Laburista, è contro l’uscita, lui che si dichiara socialista, lui che dice che gli inglesi hanno molto da imparare da Marx si schiera contro la libera volontà di un popolo e la sua autodeterminazione. In Austria vince la destra, in Francia vince la destra (il voto dell’anno prossimo lo confermerà), in Ungheria governa la destra, in Ucraina ci sono i nazisti finanziati dall’UE, in Germania AFD riscuote sempre più successo, la NATO usa tutta l’Europa dell’est come parco giochi per provocare Putin. In una situazione come quella odierna in cui la crisi dei migranti (usati da Erdogan come arma di ricatto) è solo all’inizio vedere questi rapporti di forza non fa ben sperare per il futuro degli europei. L’UE non ha voluto impedirlo, ha fatto di tutto affinché la situazione precipitasse, questa UE non va riformata, va distrutta. Ci resta solo la guerra, potevano impedirlo e non l’hanno fatto.

(Pubblicato originariamente su Economia Democratica)