sabato 3 settembre 2016

La satira e Charlie Hebdo


di Horatiu Chituc

Ai tempi di Platone c’era un certo Diogene di Sinope, un cinico che era contraddistinto dai i suoi comportamenti fuori dal comune e contrari ad ogni convenzione sociale. Infatti questo “filosofo cane” viveva in una botte, urinava sulle persone, defecava nel teatro, si masturbava in pubblico e non aveva paura di mostrare disdegno nei confronti del potere (politico) e dei potenti. Emblematico è l’episodio in cui gli si presenta davanti Alessandro Magno chiedendogli se avesse bisogno di qualcosa e Diogene risponde: "Scostati un poco dal sole".

Tale atteggiamento, di sovversione dei valori e delle gerarchie del potere ricompare da sempre nella satira la quale si può manifestare con un umorismo più o meno dissacrante. E quei gradi, quel più e quel meno, possono essere decisamente significativi per determinare una reazione piacevole o spiacevole nelle persone, anche e soprattutto in base alle circostanze in cui ci si trova. Infatti, se io inizio a fare satira pesante e insultare un morto mentre si celebra il suo funerale il mio comportamento sarebbe fortemente condannato da tutti i presenti, mentre uno spezzone di Crozza che si prende gioco di Renzi o del Papa non crea scandalo quasi per nessuno, anzi, è accettato dalla maggior parte perché permette un momento di sfogo collettivo, in cui noi, gente comune, impotenti davanti ai grandi poteri, li possiamo vedere ridotti a qualcosa di più basso di cui si può ridere per quanto risultano ridicoli in quella forma.

Ora, per parlare dell’episodio dell’ultima ora, ciò che hanno concepito “le eccellenti menti creative” di Charlie Hebdo oggi, ma anche in passato (infatti per loro questa è la prassi), assomiglia più alla masturbazione in pubblico di Diogene e alla sua defecazione in teatro. Infatti, di questo si tratta: non di fare umorismo vero e proprio, ma di defecare sotto i riflettori di tutto il mondo e di credere che questo in verità faccia ridere (nonostante sia pure vero che spesso producono il loro materiale cercando di colpire obiettivi ben precisi come i potenti della politica e della religione, sempre con un modo di fare che segue gli aspetti più estremi dei valori occidentali odierni).



Eppure, dopo la pubblicazione di oggi, c’è qualcuno che, volendo difendere la rivista parigina, vede nella battuta “Circa 300 morti in un terremoto in Italia – si legge -. Ancora non si sa se il sisma abbia gridato ‘Allah akbar’ prima di tremare” comparsa sulla stessa pagina della vignetta, un modo per dire “l’Europa ha tremato per gli attacchi terroristici fino adesso, ma si è scordata di come le forze politiche interne non si siano curate della sicurezza dei cittadini” e tenta di giustificare la vignetta così. Ma i problemi con questo tipo di giustificazione sono i seguenti: 1) Il contenuto della vignetta è completamente diverso dal contenuto della battuta, perciò è legittimo criticare il primo senza tener conto del secondo. 2) Non è detto che l’interpretazione della battuta sia quella giusta anche perché non c’è un esplicito riferimento o indizio che ci faccia pensare che la volontà dello scrittore fosse proprio quella di denunciare le forze politiche interne. 3) Anche se l’interpretazione fosse quella giusta e la volontà dello scrittore fosse proprio quella di dire ciò che alcuni hanno interpretato, il riferimento implicito della battuta non è per niente chiaro. 4) Non è detto che il disastro del terremoto sia il risultato di decisioni politiche sbagliate o “volutamente sbagliate”, anche perché le indagini sono ancora in corso e le colpe ancora da stabilire.

Il punto “4)” ci riporta al secondo momento della vicenda, quello in cui le menti di Charlie Hebdo hanno preso coscienza della reazione indignata dell’opinione pubblica italiana e hanno tentato di salvarsi in calcio d’angolo. Infatti, sempre oggi, a poche ore dalla prima vignetta, ne hanno prodotta un’altra in cui compare un terremotato sotto le macerie che dice “Italiani, non è Charlie Hebdo che costruisce le vostre case, è la mafia!”. Ritorna dunque il punto “4)”, con una precisazione aggiuntiva, ovvero, nonostante ci siano state delle accuse di legami tra la mafia e il consorzioche si è occupato della costruzione del sistema antisismico per una scuola di Amatrice che poi è crollata, il ché significherebbe che la mafia ha veramente una colpa in ciò, il TAR ha respinto questi collegamenti tempo fa e, comunque, come detto prima, le colpe sono ancora da stabilire, perciò puntare già il dito contro qualcuno e in special modo contro la mafia, risulta in questo caso solo un luogo comune senza alcuna base nella realtà (almeno per ora).



Diciamo tutto ciò considerando però che la mafia c’entrava veramente nella tragedia del terremoto de L’Aquila e che Charlie Hebdo non è l’istituzione che si occupa delle indagini, ma una rivista satirica. Però l’umorismo, per essere tale deve partire da qualcosa che si può riscontrare nella realtà dei fatti, altrimenti risulta solo un esercizio di ignoranza e stupidità e l’attenzione viene rivolta più sulle sue sbadate imprecisioni che sull’essenza della battuta.

Volendo dare un'occhiata pure a quelle che sono state le reazioni dell'opinione pubblica, è ovvio che, per via degli attacchi terroristici avvenuti nella redazione della rivista parigina, il discorso sui social e in generale si è incentrato soprattutto sulla libertà di parola e chi ha scelto di difendere Charlie lo ha fatto secondo questo principio. 

Qui c’è molta confusione e bisogna fare chiarezza. Infatti, la libertà di parola è una cosa, il contenuto di un discorso, di un’immagine, di un simbolo è un altro. La libertà di parola è un principio che in Occidente è diventato (giustamente) sacrosanto, ma, d’altro canto, giustificare i contenuti di qualsiasi discorso/immagine/simbolo mettendoci in mezzo questo principio non ha senso. 
Un’analogia adeguata sarebbe quella di un re che legittima il proprio potere attraverso il principio divino. La stessa cosa sta avvenendo con la libertà di parola (il contenuto si legittima con il principio) e sembra quasi che una reazione di disdegno per il contenuto di un discorso e di chi lo fa sia in verità un attacco rivolto al principio stesso (almeno nella mente di taluni). Nulla di più vero, anche se c’è anche chi lo attacca veramente. Ma il diritto di reagire liberamente a qualsiasi cosa si ha davanti, purché sia una reazione nei limiti della legalità, è un diritto sacrosanto quanto quello della libertà di parola. E poi ricordiamoci anche che, come dice un proverbio italiano,  “Il pensare è libero, ma il parlare vuol prudenza”.

Pubblicato originariamente su Parola all'agorà

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