domenica 20 dicembre 2015

Nicola Bombacci: rivoluzionario incendiario



di Vincenzo Cerulli

Parlare di Nicola Bombacci comporta dei rischi. In queste righe non si vuole esaurire la biografia di Bombacci, per un’impresa del genere è richiesta una cura delle fonti ed una ricerca storica di cui attualmente non si dispone; l’autore scrive per debito morale, per strappare definitivamente dal cadavere di Nicolino quell’infame cartello con su scritto “super-traditore”. Chi scrive a riguardo sa già sempre che riceverà delle critiche aprioristiche da parte di chi non riesce ad accettare che un uomo possa essere andato al di là del proprio credo politico, di facili sicurezze economiche, dei propri affetti e perfino delle proprie amicizie, pur di difendere, fino alla morte, la classe operaia. Bisogna però prendere coscienza del fatto che un uomo che ha sacrificato tutte le proprie forze fisiche ed intellettuali, per tutto l’arco della propria vita, in favore del proletariato, meriti di essere ricordato con l’onore che gli spetta al di là della vulgata media che rintrona da ambo i lati. Dunque riesumiamolo, senza fronzoli di sorta o anacronistici rancori.
Nicola nasce a Civitella di Romagna il 24 Ottobre del 1879. Fra i dirigenti socialisti durante il I conflitto mondiale e nell'immediato dopoguerra, sposa Lenin e la Rivoluzione d’Ottobre e contribuisce ad infiammare quegli anni di proteste e speranze accendendo le folle proletarie che lo adoravano. Abbandona il partito socialista, la cui maggioranza non aveva intenzione di applicare il programma leninista ed era incline ad un riformismo che lui e i suoi più stretti compagni non potevano più tollerare. Così fonda il partito comunista assieme a Gramsci, Bordiga, Fortichiari, Terracini e Damen al teatro San Marco. Purtroppo in quegli anni le occasioni mancate furono molte, troppe, i tempi erano fertili per una rivoluzione sulla scia di quella russa, il disordine era grande; ma a sfruttarlo meglio furono i fascisti, questo non può essere negato. Proprio per questa mancanza di pragmatismo, in questo non riuscire a cogliere le occasioni che il periodo storico proponeva, Bombacci criticava aspramente il partito da lui fondato e diventava sempre più inviso agli altri membri dirigenti. Togliatti gli rimproverò questo aspetto del carattere. Del romagnolo non gli andava giù l’eccessiva tensione pragmatica, quell'enorme sforzo (assente soprattutto oggi) di coniugare teoria e prassi in una forma realizzabile. Salito al potere Stalin, e cambiati gli equilibri di potere all’interno del PCI, nel ’27 viene espulso dal partito che lui stesso aveva fondato per “indegnità politica”. Così Nicolino si trovò solo, il socialista rivoluzionario di cui gli squadristi fascisti nel ’22 cantavano: “ Con la barba di Bombacci, ci farem gli spazzolini, per lucidar le scarpe di Benito Mussolini!” era stato abbandonato dai suoi compagni di lotta. Non ricevette mai la tessera del PNF ma dialogò spesso con Mussolini e tutto il paese fascista, soprattutto grazie alla rivista che il Duce gli lasciò fondare: “La Verità” (“Pravda” in russo) operante dal ’36 al ‘43.E’ merito suo se l’Italia fascista fu il I Stato al mondo a riconoscere ufficialmente la nuova Russia comunista. Questa e molte altre manovre diplomatico-economiche da lui caldeggiate esprimono nitidamente la sua forte avversione per il capitalismo anglo-americano e per lo strapotere coloniale di Francia e Inghilterra. Fino alla fine resterà accanto al Duce per difendere gli operai. Vedeva nella repubblica sociale la possibilità di attuare il socialismo come lui lo intendeva, senza interposizioni di plutocrazie, massoni e decisioni del Re. Purtroppo nemmeno qui il suo sogno si realizzò: la tremenda crudeltà di alcune frange di repubblichini, soldati tedeschi e le ingerenze di una parte del governo non resero possibile la socializzazione totale della vita pubblica da lui agognata per oltre quarant’anni. Pochi giorni prima della capitolazione finale, davanti ad una folla in delirio di tremila operai, cantò per l’ultima volta i suoi ideali più alti e incitò tutti a resistere in quella “dura ora che la Patria vive”. Era il 15 Marzo. Una quarantina di giorni dopo Bombacci salì sulla stessa macchina di Mussolini per organizzare l’ultima resistenza nella Valtellina. Descrive l’episodio il figlio di Mussolini, Vittorio, quella sera in macchina con loro: ”ho pensato al destino di questo uomo, un vero apostolo del proletariato, un tempo nemico accanito del fascismo e ora a fianco di mio padre senza alcun incarico né prebenda, fedele a due capi diversi fino alla morte”. Perché è proprio per che questo che Nicola Bombacci è stato seppellito dalla storia, il suo oltrepassare le dicotomie statiche e fisse (per questo oggi pericolose, perché in quanto tali fissano e anestetizzano il dibattito politico) di comunismo/fascismo, destra/sinistra lo rende impossibile da categorizzare all'interno di un manuale e la sua parabola politica è oggetto di dibattito solo in ambienti privilegiati. Il libro di Daniele Dell’Orco (Nicola Bombacci, tra Lenin e Mussolini) ce ne restituisce una figura dignitosissima, ereditiamo un uomo più grande delle ideologie del suo tempo ed è proprio questo un motivo su cui riflettere. Superare le dicotomie è oggi più urgente che mai. Superarle non significa metterle da parte; significa piuttosto mettere al centro l’uomo politico e fare in modo che esse siano dei dispositivi a cui ricorrere e non viceversa.

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