martedì 28 giugno 2016

L'Unione Europea dopo il Brexit


di Simone Mela

La vittoria del Leave come esito del referendum sulla Brexit dello scorso 23 giugno dà sicuramente un chiaro e forte segnale all’Unione Europea, incapace di far fronte ai problemi dei cittadini, generando da parte sua una disaffezione dalle istituzioni comunitarie via via sempre più grande.
Volendo aprire una parentesi è paradossale il fatto che si dica, in questi casi, che il singolo Stato nazionale non sia in grado di risolvere problemi globali quando è la stessa Ue a non avere saputo gestire problemi importanti come quello dei flussi migratori. Ma sarebbe anche un po’ grossolano e riduttivo legare il successo di coloro che hanno deciso di lasciare l’Ue con il tema dell’immigrazione, la quale come recentemente scritto dall’intellettuale francese Alain de Benoist è solamente la conseguenza e non la causa della forte mancanza di identità.
Questo successo euroscettico però ha acceso anche gli animi delle altre forze politiche europee che mostrano una forte avversione verso l’impianto eurocratico. Una entusiasta Marine Le Pen, leader del Front National, ha affermato che quella britannica è stata “una vittoria della libertà” e che ora, come chiede da anni, “serve lo stesso referendum anche in Francia” e negli altri paesi dell’Ue. Dall’Olanda, Geert Wilders, fondatore e capo del Partito per la Libertà (PVV), guarda con favore a un possibile abbandono dell’Ue da parte dei Paesi Bassi. “Ora è tempo di un nuovo inizio, se diventerò primo ministro, ci sarà referendum” – ha detto Wilders. Dichiarazioni di questo genere sono arrivate anche dal leader del Partito della Libertà Austriaco (FPÖ) Heinz Christian Strache il quale, forte dell’ottimo risultato ottenuto alle presidenziali da Norbert Hofer, ha sentenziato in questo modo: “Se l’Ue si ostina nel suo rifiuto a fare le riforme, allora un voto dell’Austria sarà un nostro obiettivo”. Persino in Svezia, i Democratici, partito nazionalista, chiedono che vengano rinegoziati gli accordi e che il popolo svedese dovrebbe avere l’opportunità di poter esprimersi sulla sua appartenenza all’Ue. Per finire, segnaliamo anche le parole provenienti dalla Germania stessa pronunciate dal capo di Alternative für Deutschland, Frauke Petry: “I cittadini europei vogliono ora riprendersi la sovranità alla maniera britannica”.
Non c’è dubbio che sul vecchio continente, ora più che mai, soffi un forte vento euroscettico. Il prossimo anno e mezzo sarà fondamentale per capire quale sarà il futuro dell’Ue. Il calendario politico, infatti, prevede le elezioni presidenziali in Francia il prossimo maggio: se il Front National riuscirà a migliorare il risultato delle regionali dello scorso dicembre conquisterà l’Eliseo e allora sarà referendum. In Olanda, sempre nel 2017, ci saranno le elezioni per la Camera, in Austria nel 2018 si terranno quelle parlamentari, vero appuntamento atteso dal Partito della Libertà (FPÖ). E non dimentichiamoci le elezioni federali in Germania il prossimo autunno. Se tutte queste forze politiche si affermeranno nei rispettivi paesi, parole come Frexit o Nexit potranno essere qualcosa di più che semplici slogans.
Il rischio (per Bruxelles) e la speranza (per i popoli liberi) è che il risultato del referendum britannico possa causare il cosiddetto effetto domino. Se nei prossimi mesi i popoli europei, guardando l’esempio britannico, si accorgeranno che fuori dall’Ue c’è vita, questi movimenti euroscettici porteranno moltissimi cittadini a votare per le loro liste. Ovviamente non sarà facile. Si deve sempre tenere a mente che il Regno Unito ha la propria sovranità monetaria e non è precisamente un dettaglio fare un referendum sotto ricatto Draghi che “chiude i rubinetti”, con la conseguente corsa isterica agli sportelli e lo spread alle stelle (Grecia docet).
E in Italia? Già, quasi ci dimenticavamo dell’Italia. Premesso che un primo passo per lanciare qualche segnale a Bruxelles sarebbe bocciare la riforma costituzionale al referendum del prossimo ottobre, nel nostro paese la palla è ormai passata al Movimento 5 Stelle il quale, dopo la conquista del Campidoglio e l’exploit di Torino, si è seriamente candidato come alternativa di governo. Ma la linea politica del M5S su Ue e Euro è a dir poco ambigua. A oggi sembra stare su posizioni più moderate come dimostra l’abbandono del, seppure impossibile, referendum sull’Euro e l’atteggiamento di un Di Maio che strizza l’occhio alla grande finanzia come si è potuto recentemente leggere in un suo tweet. Inoltre come ha riportato Claudio Messora sul suo blog byoblu, sul sito dei 5 Stelle il 20 maggio è uscito un articolo in cui si afferma che “il Movimento 5 Stelle è in Europa e non ha nessuna intenzione di abbandonarla […] il Movimento 5 Stelle si sta battendo per trasformare l’Ue dall’interno”. Quando si tratta di essere dal lato giusto della storia…

(Pubblicato originariamente su l'Opinione Pubblica)

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