venerdì 1 aprile 2016

Se l'Unione Europea migrasse verso oriente?


di Gianluca Boanelli


Un insieme di nazioni differenti per cultura, condizione economica e aspettative
decidono di affrontare un percorso ambizioso comune per giungere a una
progressiva “unione”, prima commerciale, poi nel mercato del lavoro, dunque il
raggiungimento della libera circolazione dei capitali.
Una storia già sentita? In effetti il quadro proposto sembra chiaramente ispirato alla
nascita della Comunità Economica Europea (accordi di Roma del 1957), che oggi, o
meglio, in seguito al trattato di Maastricht, è stata assunta come “primo pilastro”
dell’azione dell’Unione Europea.
Tuttavia la comunità in questione dista quasi sessant’anni dal percorso europeo
verso il libero scambio e riguarda un contesto geografico e culturale che mai
potrebbe essere più lontano dal Vecchio continente
Infatti non ci troviamo nella vecchia Europa ma nella assai più giovane Asia, in
particolare il Sud- Est asiatico, dove proprio nel 2015 nasce l’ASEAN ECONOMIC
COMUNITY, promossa dai 10 leader dell’ASEAN (Associazione dei paesi del Sud-Est
asiatico). In maniera insospettabile, proprio nel decennio di maggiore contestazione
del sistema Europa, il cui è apice è di certo il paventarsi della cosiddetta BREXIT,
qualcuno sembra ispirarsi al modello europeo proprio con la volontà di giovare di
quegli stessi benefici che da sempre sono state le basi istituzionali fondanti della UE.
In sostanza l’AEC, dopo il passaggio da forum economico a comunità economica avrà
l’obiettivo di integrare gli interessi economici di 10 paesi per un totale di 600 milioni
di persone promuovendo inizialmente proprio il libero scambio all’interno del
contesto economico condiviso.
Le analogie con la storia del percorso europeo sono al dir poco stupefacenti a partire
proprio dalle caratteristiche dei paesi fondatori. Infatti la situazione di partenza è
piuttosto disomogenea dal punto di vista sia politico che economico allo stesso
modo della condizione europea nel dopoguerra. Infatti da una parte vanno
considerati i paesi guidati dal partito comunista nazionale (Vietnam e Laos), giunte
militari(Thailandia), novelle democrazie (Myamar, Cambogia) si dovranno
confrontare con relate piuttosto diverse quali le nuove “tigri asiatiche” dell’high tech
quali Singapore e Malaysia nonché stati estremamente popolosi quali Filippine e
Indonesia caratterizzati da differenze politiche e religiose.
Di fronte a un quadro così complesso non è tuttavia possibile mettere in secondo
piano il ruolo giocato dai due osservatori “silenziosi” (ma non troppo), ovvero Cina e
Giappone.
La politica giapponese sembra infatti quella più aperta al sostegno dello sviluppo del
Sud est asiatico, visto il ruolo che potrebbe giocare in un futuro prossimo nella
domanda infrastrutturale. Il discorso vale in particolare per le esigenze dei cosiddetti
paesi del “Mekong” i quali necessitano di costruzioni ferroviarie, porti e via dicendo.
In questi Segmenti il paese del sol levante può vantare colossi di esperienza
mondiale (Hitachi, Mitshubishi) i quali hanno sostegno anche nel più lontano
conteso europeo. D’altro canto molti dei paesi considerati sono tutt'ora
prevalentemente dipendenti dalla grande domanda cinese che, nonostante abbia
subito una diminuzione non indifferente a partire dall’estate 2015, sembra essere in
prospettiva un elemento idiosincraticamente destinato a caratterizzare ancora per
molto a queste nazioni fino ad ora “satellite”.
 In sintesi le prospettive di sviluppo della comunità si muovono su due linee
parallele, da una parte una progressiva stabilizzazione geopolitica inevitabilmente
necessaria per la continuità nel tempo, dall’altro lato un’attenta gestione delle
relazione con Cina e Giappone. Tali rapporti dovranno muoversi di certo sia verso
una più stretta collaborazione ove non vi sia l’expertise necessario per uno sviluppo
economico autonomo, sia verso una certa indipendenza in quei settori nei quali il
vantaggio competitivo degli stessi paesi è frenato esclusivamente da fattori
istituzionali e geopolitici.
Dunque in forza di un contesto globale sempre più imprevedibile e dinamico i nostri
cugini asiatici, in un futuro ancora piuttosto lontano, potrebbero essere in grado di
imparare dal modello di integrazione economica europea, migliorarlo e superarlo, in
forza, probabilmente, del più classico e oserei antico vantaggio del follower, ovvero
che si impara dagli altri sfruttandone i punti di forza e evitando gli errori compiuti.

Fonte: www.ilSole24ore.com

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