lunedì 4 aprile 2016

"Ad occhi chiusi" - Recensione


di Beatrice Ambrosi


Il 9 maggio del 1921 al Teatro Valle di Roma, mentre è in scena Il giuoco delle parti, dalla
porta principale della sala entrano sei personaggi in cerca di una forma, in cerca di un
autore: il capocomico che è già sul palcoscenico decide di rappresentare il dramma di
questi, attribuendo le loro parti agli attori già presenti; la platea è in preda alla confusione,
non comprende cosa stia accadendo e comincia a gridare "Manicomio!".
L'autore di questo espediente è Luigi Pirandello, il quale da qui in poi distruggerà le
convenzioni del teatro borghese, utilizzando la tecnica del metateatro, che concretamente
significa fare teatro nel teatro: il poeta disintegra quindi lo spazio teatrale, abbattendo la
barriera che separa gli attori dal pubblico, coinvolgendo in prima persona lo spettatore.
Tale risultato è stato raggiunto anche da un artista dei nostri tempi, Carlo Fineschi,
regista dello spettacolo Ad occhi chiusi, tratto dall'omonimo romanzo di Gianrico
Carofiglio che racconta un giallo giudiziario dal punto di vista dell'avvocato Guido
Guerrieri (qui Adelmo Togliani), che si trova a difendere Martina Fumai (qui Sara
Allegrucci), vittima di abusi domestici e giochi sadomasochistici da parte del convivente
Gianluca Scianatico (qui Matteo Bolognese), figlio del presidente di una sezione penale
nella Corte d'appello e per ciò intoccabile, poichè nessun avvocato vuole inimicarsi il
padre.
La trama della rappresentazione teatrale è la stessa, ma il regista ha deciso di impostarla
sotto tre punti di vista: l'avvocato, la vittima e il carnefice. La novità sta nel fatto che lo
spettatore non dispone di quella onniscienza tipica del teatro nostrano poichè con
un'unica visione può conoscere solo una delle prospettive: dovrà quindi partecipare
nuovamente alla rappresentazione teatrale per avere un quadro più completo della
vicenda (ne avrà sicuramente curiosità!). Questo tipo di impostazione corrisponde ad una
realtà in cui raramente si conoscono tutte le sfaccetture di una storia, in cui si è talmente
convinti di un'idea, che si rimane sorpresi se poi questa viene stravolta. Ed è ciò che
accade in questo contesto: chi dice la verità, Martina o Gianluca?
Un'altra scelta innovativa è stata quella di realizzare un teatro itinerante, durante una
 serata romana, in cui gli spettatori, suddivisi in gruppi (in base al punto di vista scelto),
sono accompagnati da una guida con cui non si può interloquire (si scoprirà poi che
anche questa è parte dello spettacolo) nei luoghi in cui si svilupperà la storia: un
appartamento, un edificio in cui vengono accolte vittime di maltrattamenti e il MAXXI.
Luci soffuse, musica inquietante di fondo e una recitazione di alta qualità da parte di attori
per la maggior parte poco conosciuti conferiscono al dramma un'atmosfera tetra e
realistica, sulle sfumature del thriller, accentuate da un dolore non espresso visivamente,
ma percettibile tramite urla, rumori e pianti; espressioni eloquenti del volto che fanno
venire i brividi, dialoghi essenziali ed efficaci e discorsi profondi ed incisivi regalano
emozioni impagabili allo spettatore costernato, sorpreso, che non può nulla di fronte allo
strazio a cui assiste: Ad occhi chiusi fa immergere completamente il pubblico in una
esperienza alienante e disarmante, a tal punto da far chiedere se sia realtà o finzione, da
voler far intervenire nelle scene più cruente.
L'intensità dell'intera opera non consiste in cosa viene raccontanto (sebbene sia un tema
delicatissimo a cui tutta la compagnia ha saputo dare dignità) ma nel modo in cui viene
fatto: la trama infatti non risulta banale nè si sofferma troppo su temi triti e ritriti, ma ci
offre discorsi interessanti ed informativi riguardanti ad esempio antiche leggende circa le
tecniche di combattimento, alludendo alla lotta della non resistenza ed al fatto che stare
ad occhi chiusi, ed è questo il nucleo della storia riassunto dall'omonimo titolo, non
significa avere paura ma semplicemente aver colto il momento in cui cedere, come un
salice che per molto sopporta la neve, per poi scrollarsene il peso e tornare alla posizione
primaria.
Pirandello e Fineschi rappresentano dunque un modo di fare teatro che abbatte quel
distacco, quella freddezza che ci sarebbe dentro una sala, rendendo al contrario
protagonisti dell'opera gli stessi spettatori. La domanda che però continuerà a tempestare
la nostra mente nel corso della vicenda sarà: è realtà o finzione?
E voi, non siete curiosi di chiedervelo?

Trailer spettacolo:
https://www.youtube.com/watch?v=R_Ni7nE1Zk4

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