lunedì 21 marzo 2016

ISIS o anche “cattiva coscienza” dell’Occidente (considerazioni personali, parziali ed assolutamente non obiettive)

di Vincenzo Cerulli

Si parla sempre di più dello “Stato Islamico” dal punto di vista economico e geo-politico ma qui vorrei portare il dibattito su un altro scenario. L’ISIS non può essere ridotto a mero fenomeno terroristico immanente alla sola epoca che viviamo, l’ISIS è un fenomeno che oltrepassa le semplici coordinate storiche e per guardarlo bene negli occhi, di conseguenza, dobbiamo anche noi astrarci da esse. La prima caratteristica che salta agli occhi è che l’ISIS nasce come movimento oppositivo alla quotidianità occidentale, alla ”way of life” americana(almeno nel modo in cui il Califfato si presenta massmediaticamente). Questo non è assolutamente un dettaglio di second’ordine, poiché in assenza del motivo oppositivo non avrebbe condizione di esistere. Quindi possiamo affermare che la principale condizione d’essere dell’ISIS è la sua connaturata opposizione alla “maniera di vivere occidentale”, la sua “natura” mette in dubbio la nostra. L’Occidente (che è oggi una semplice “estensione” dell’America) trova nello Stato Islamico il più radicale impedimento alla sua assolutizzazione in una forma compiuta, è l’Altro che non possiamo conoscere, l’Estraneo più totale che non possiamo assumere. Mi si potrà obiettare che ci sono altri stati che si oppongono all’occidentalizzazione del mondo. Certo che ci sono: penso alla Russia, all’Iran, alla Cina, al Venezuela, alla Siria; ma questi stati, in fondo, parlano lo stesso linguaggio del nostro occidente, pensano attraverso gli stessi schemi concettuali che utilizziamo noi. Questo non possiamo dirlo per l’ISIS, l’estrema barbarie che mostrano nei video (sarebbe motivo di riflessione anche il rapporto conflittuale fra barbarie e tecnologia massmediatica che vi troviamo) si sottrae ad ogni “logica”, ad ogni ratio cui siamo soliti, ad ogni calcolo. La loro furia iconoclasta ci spaventa proprio perché illogica, irrazionale, non ce la spieghiamo e dunque cadiamo nel baratro del dubbio: “Perché? A che pro?”. Qui sta il nostro errore fatale, nel cercare un “pro”, un utile.
Dovremmo aver imparato che l’utile, figlio del pragmatismo, è ormai la cifra del pensiero occidentale quasi in ogni ambito, ogni azione viene intrapresa solo se precedentemente ha superato il calcolo della “convenienza”. Per questo noi europei non “esistiamo” più, perché la Storia può essere squassata solo da azioni eroiche e queste non coincidono quasi mai con scelte “razionali e convenienti”, siamo completamente imbevuti di pragmatismo calcolante, per questo oggi non possiamo mettere in moto la Storia. L’utile però non è di certo la cifra del loro pensiero.  “La forza dell’ISIS sta nella nostra debolezza. Di là uomini con valori fortissimi, sbagliati che siano, disposti ad andare a morire con la disinvoltura con cui si accende una sigaretta, di qua una società svuotata di ogni valore, a cominciare dal coraggio.” Questo ci raccontava Massimo Fini in un articolo pubblicato il 18\11\15 sul “Fatto Quotidiano” e continuare a negare questo fenomeno significherebbe ancora di più far avanzare il deserto di valori in cui l’Europa sta soffocando. Devo ora fare un paio di precisazioni. Non intendo assolutamente dire che all’interno della Storia non ci siano azioni ponderate a lungo e ben esaminate ma è sotto gli occhi di tutti che al giorno d’oggi  il “pensiero calcolante” ha completamente assopito l’istinto di milioni di persone. Un’altra precisazione doverosa è che l’ISIS un fine pratico ce l’ha, il controllo del Sirak e l’instaurazione dello Stato Islamico su territori sempre più vasti.  Dunque ora dobbiamo chiederci cosa li accomuna a noi, e qui ci rendiamo conto che non sono poi così “estranei” come si accennava prima. Due “dispositivi” ci legano indissolubilmente: il denaro e la tecnica. Il denaro, “sterco del demonio”, viene accaparrato dall’ISIS principalmente in tre modi: vendendo il petrolio sottobanco, contrabbandando opere d’arte e con i pagamenti di riscatto degli ostaggi. Sappiamo ormai tutti che la Turchia per mesi ha acquistato a prezzi più bassi il petrolio dai miliziani di DAESH, il mercato nero delle opere d’arte è internazionale ed inarrestabile e i territori in cui campeggia la bandiera nera dell’ISIS non sono solo sassi e sabbia come molti potrebbero suppore; ma una riserva inestimabile di rarità archeologiche. Basta poi citare gli “sponsor” maggiori di DAESH e subito ci accorgiamo che il sedicente Stato Islamico è salvaguardato da un “fondo di garanzia” abbastanza ampio: Qatar, Emirati Arabi ed Arabia Saudita su tutti. Oltre al denaro ad accomunare noi uomini occidentali qualunque e i miliziani dell’ISIS c’è la “tecnica” che nel caso di DAESH si esprime maggiormente nell’enorme potenza mediatica di cui dispongono. Ogni loro azione si riflette a livello planetario attraverso i social network e i telegiornali che, quasi quotidianamente, ci mettono di fronte alla loro violenza. Attraverso la propaganda riescono ad ammaliare migliaia di musulmani che vivono in Europa, anche da due o tre generazioni, comunque non assimilati dunque non europei. Per anni politiche migratorie e di accoglienza criminali hanno illuso l’Africa intera e il Medio Oriente di poter accogliere tutti indiscriminatamente, senza tenere conto minimamente di differenze socio-culturali millenarie. La grande illusione del nostro secolo, quella di poter essere tutti “classe media”, ha illuso anche le schiere di immigrati che approdavano nei nostri lidi. Quando si è schiavi di un’illusione si cade nel risentimento se quella speranza non si concretizza. L’accoglienza si è risolta in ghettizzazione nelle periferie e le diverse culture non si sono incontrate perché non avevamo nulla da offrire, l’Europa teme di perdere la propria identità ma dovrebbe prendere coscienza del fatto che l’ha persa da anni, e di certo non per colpa dell’immigrazione. Quindi questi giovani musulmani si trovano sospesi nel vuoto, in un limbo esistenziale: persi fra le radici che hanno cercato di lasciarsi alle spalle e una cultura che non li ha accolti perché inesistente anche per i “veri” europei. Dobbiamo evidenziare il fatto che non hanno trovato alcuna identità culturale ad accoglierli ma, piuttosto, hanno trovato una fecondissima subcultura che li ha alienati ancora di più. Il ruolo fondamentale di questa subcultura sradicante è stato ben evidenziato da Sebastiano Caputo in un suo articolo per “Il Giornale”("Dal rap al Jihad: i kamikaze sono un prodotto della subcultura occidentale"). A me  piace pensare che questi giovani apolidi (pesantemente influenzati dagli inni alla Jihad di matrice hollywoodiana  e dalla sub-cultura di cui sopra) hanno messo in pratica quel che dice William Faulkner: “Fra il dolore e il nulla io scelgo il dolore”. Estranei in un Europa aliena anche per noi europei hanno forse sentito la nostalgia per ciò che gli era più lontano, le radici perdute, il deserto, l’Islam.  A differenza nostra hanno scelto il “dolore” e si sono fatti foreign fighters ; noi abbiamo scelto il nulla e beatamente continuiamo a fluttuarvi all’interno. Ora ci troviamo ad affrontarli e questi giovani musulmani portano l’Europa ad un doveroso redde rationem, il colonialismo passato e la pretesa superiorità culturale tornano a noi con un colpo di frusta pericolosissimo. Iniziamo a scorgere nell’ISIS la cattiva coscienza dell’Occidente, lo specchio rotto in cui non vorremmo mai guardare. Quando finalmente sceglieremo anche noi di tornare ad esistere come italiani ed europei potremo cominciare a preparare il dialogo con paesi e culture molto più liberi dei nostri.

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