di Valerio D'Agostini
In questi ultimi mesi sembra che stia prendendo piede sul
panorama europeo la tanto accusata e denigrata teoria economica neokeynesiana. Ci
si è accorti, infatti, che ciò che sta affossando davvero l'economia reale non
è la mancanza di liquidità, ma la carenza di domanda aggregata, senza la quale
ci si può aspettare ben poco da parte di un Paese anche nel caso in cui questo
mettesse in atto le manovre e riforme più sentite dalla comunità
internazionale. L'Eurozona vive ciò ormai da anni, senza che BCE, Corte dei
Conti, Commissione europea o altri organi abbiano mai mosso il ben che minimo
dubbio sulle politiche di austerity. Questo fino a qualche tempo fa. Adesso
invece stiamo assistendo ad un cambiamento radicale, con interventi a favore di
un allentamento dei vincoli economici mai visti prima. La flessione è avvenuta a partire dallo scorso anno con il
Quantitative Easing promosso da Mario Draghi (che comunque sta portando a ben
poco); ma la vera svolta è probabile che si vedrà da qui a qualche mese,
auspicabilmente con aumenti di spesa pubblica in vista di deficit di bilancio
maggiori. Non è un caso che anche giornali economici come Il Sole 24
Ore, notoriamente filogovernativi, stiano sottoponendo proprio in queste ultime
settimane il problema della carenza di domanda. È forse giunto veramente il
momento di allontanamento da politiche di stampo neoclassico?
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